Traffico di migranti, blitz della polizia contro un network criminale: 38 fermi
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Traffico di migranti, blitz della polizia contro un network criminale: 38 fermi

La rete transnazionale con 25 eritrei, 12 etiopi e un italiano. L'indagine partita dalle dichiarazioni dello scafista pentito: chi non aveva soldi veniva ammazzato per gli organi.

Migranti in attesa di partire
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4 Luglio 2016 - 10.41


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La Polizia di Stato sta eseguendo il blitz, dalle prime ore del mattino, in diverse città italiane. Sono 38 i fermi emessi dalla Dda di Palermo nei confronti di altrettanti indagati, ritenuti appartenenti ad un network criminale transnazionale dedito al traffico di migranti.

Individuata a Roma la centrale delle transazioni finanziarie in un esercizio commerciale dove sono stati sequestrati 526.000 euro e 25.000 dollari in contanti, oltre ad un libro mastro, riportante nominativi di cittadini stranieri ed utenze di riferimento.

La holding specializzata in traffico di migranti. Si sono avvalse delle dichiarazioni di un pentito le indagini della polizia di Stato di Palermo culminate nei 38 fermi dell’operazione “Glauco 3” che ha fatto luce su una holding del crimine organizzato, specializzata nel traffico di migranti e in grado gestire grandi volumi finanziari e di droga, una rete composta da 25 eritrei, 12 etiopi e un italiano.

Il collaboratore di giustizia: un ex scafista. Dichiarazioni che hanno disvelato orrori e affari, rese dal collaboratore di giustizia eritreo arrestato nel 2014, Nuredin Wehabrebi Atta, il primo straniero ammesso a un programma di protezione per i pentiti, ritenuto particolarmente attendibile e a febbraio condannato a 5 anni. L’ex scafista ha deciso di dire tutto “perché ci sono stati troppi morti in mare”, in particolare dopo la strage al largo di Lampedusa del 3 ottobre 2013, quando le vittime furono 366 e con la quale afferma di non avere nulla a che fare. Per la prima volta in Italia, spiegano gli investigatori, ha fornito una completa ricostruzione delle attività  criminali riconducibili ad una delle piu’ agguerrite bande transnazionali dedite al traffico di migranti, operante, oltre che in Nord Africa, sul territorio nazionale, con cellule attive ad Agrigento, Palermo e Roma, nonche’ in diversi Paesi europei.
Solo una minima parte dei morti viene alla luce. Il pentito ha contribuito a documentare la dinamicità del business dei trafficanti attivi su più versanti. Ma anche il tragico catalogo degli orrori dell’organizzazione. “I morti di cui si viene a conoscenza sono una minima parte”, ha spiegato, “tant’è che solo in Eritrea otto famiglie su dieci hanno avuto vittime”. E chi dopo essersi impegnato non aveva i soldi per pagare il viaggio, “veniva venduto anche per 15.000 euro a gruppi, soprattutto di egiziani, che si occupavano di espiantare e vendere organi”. Il network dei trafficanti in Libia, inoltre, “ha a disposizione armi in quantità, tra cui Kalashinikov, pistole Makarov ed altro tipo di armi”.

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Il giro di certificati. E, poi, il giro di certificati: “Per ogni certificato falso di stato di famiglia e di residenza di altri stranieri il guadagno era tra i 500 e i 600 euro”. Questi certificati falsi “consentivano ai titolari di avanzare, anche alla prefettura di Agrigento, domanda per il ricongiungimento familiare di altre persone che in questo modo potevano arrivare in Italia”. Alcuni degli indagati, così, oltre ad avere avviato una fiorente attività di spaccio di ‘Chata’, importata dall’Etiopia, ha organizzato numerosi matrimoni “di comodo”, per regolarizzare la posizione di migranti irregolari giunti via mare, dimostrando una multisettorialita’ nelle attivita’ illegali, mai registrata prima in analoghi ambiti criminali.

I fermi sono stati eseguiti dalla polizia di Stato nelle province di Palermo, Roma, Viterbo, Agrigento, Catania, Trapani, Milano, Lecco, Macerata e Genova. Le indagini degli uomini della Squadra mobile di Agrigento e Palermo e del Servizio centrale operativo hanno consentito di ricostruire la struttura organizzativa e le dinamiche criminali di un pericoloso network transnazionale che ha favorito, traendone ingenti profitti economici, l’immigrazione illegale di migliaia di migranti. Contestati i reati di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, all’esercizio abusivo dell’attivita’ di intermediazione finanziaria, nonche’ di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, tutti aggravati dal carattere transnazionale del gruppo criminale. Nel corso dell’inchiesta, tra l’altro, sono stati, almeno in parte, ricostruiti i flussi di denaro provenienti dal traffico dimigranti, individuando, a Roma, una profumeria, all’interno della quale, nel corso di uno specifico servizio svoltosi lo scorso 13 giugno, sono stati sequestrati 526.000 euro e 25.000 dollari in contanti, nonche’ una sorta di libro mastro, riportante nominativi di cittadini stranieri ed utenze di riferimento. Eseguito il sequestro preventivo di alcune quote societarie e di tre esercizi commerciali, tra cui la profumeria che, certamente, costituiva uno dei principali snodi del flusso finanziario legato al traffico di migranti.

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Lo Voi: individuati i canali finanziari dell’organizzazione. “Con questa indagine abbiamo raggiunto un livello più alto nella lotta all’immigrazione clandestina e abbiamo individuato il canale finanziario della rete criminale che gestisce il traffico dei migranti dall’Africa alla Sicilia e che aveva a Roma e a Palermo due centrali di snodo”. Lo ha detto il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi che ha coordinato l’indagine che ha portato all’emissione di 38 fermi – uno solo nei confronti di un italiano – accusati di essere appartenenti a un’associazione criminale che gestiva il traffico di migranti.
L’indagine, che si basa anche sulle dichiarazioni di un pentito, è la prosecuzione di un’inchiesta avviata dopo il tragico naufragio del 2016 a Lampedusa.
“In un bazar a Roma – ha aggiunto Lo Voi – abbiamo trovato 500 mila euro in contanti e decine di migliaia di dollari più una serie di nomi e numeri di telefono. Era il luogo in cui venivano raccolti i soldi dei migrantiche volevano raggiungere l’Italia”.
Dall’inchiesta è emerso che l’organizzazione al viaggio sui barconi preferiva i falsi ricongiungimenti familiari consentiti dalla legge italiana. “Un modo più costoso, ma più sicuro -. ha spiegato il procuratore, per cui, grazie a false attestazioni di extracomunitari residenti in Italia, i migranti riuscivano a venire nel nostro Paese e ricongiungersi con i sedicenti parenti”.

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