Il Papa: crollato quello di Berlino non costruiamo altri muri
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Il Papa: crollato quello di Berlino non costruiamo altri muri

"Populismo figlio dell’egoismo". Il Papa ai leader Ue: persa la memoria della fatica per far cadere quel muro.

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24 Marzo 2017 - 19.12


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L’Europa è un “modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile” e non “un insieme di regole da osservare”. E si deve resistere alla “tentazione di ridurre gli ideali fondatici alle necessità produttive, economiche e finanziarie”. Nella Sala regia del Palazzo apostolico, Francesco riceve i vertici della Ue e 27 capi di Stato e di governo arrivati a Roma per i 60 anni dalla firma dei Trattati che fondarono la comunità europea. I saluti del premier Paolo Gentiloni, del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. E poi il discorso del Papa, una riflessione ampia per richiamare l’audacia e lo spirito dei Padri fondatori “nel vuoto di memoria che contraddistingue i nostri giorni”.

“Ci siamo dimenticati le condizioni e le speranze di allora. C’erano ancora le ferite della Seconda Guerra mondiale. E quell’intesa ci ha dato “il più lungo tempo di pace degli ultimi secoli”, ricorda il Papa, un bene che oggi tendiamo a dare per “scontato”, e non lo è. Di più: “In un mondo che conosceva bene il dramma di muri e divisioni, era ben chiara l’importanza di lavorare per un’Europa unita e aperta e la comune volontà di adoperarsi per rimuovere quell’innaturale barriera che dal Mar Baltico all’Adriatico divideva il continente. Tanto si faticò per far cadere quel muro! Eppure oggi si è persa la memoria della fatica”, considera Francesco. Allo stesso modo, “si è persa pure la consapevolezza del dramma di famiglie separate, della povertà e della miseria che quella divisione provocò. Laddove generazioni ambivano a veder cadere i segni di una forzata inimicizia, ora si discute di come lasciare fuori i “pericoli” del nostro tempo: a partire dalla lunga colonna di donne, uomini e bambini, in fuga da guerra e povertà, che chiedono solo la possibilità di un avvenire per sé e per i propri cari”.
“Noi oggi siamo qui riuniti per celebrare il nostro progetto comune e domani firmeremo un documento di intenti comuni, solo insieme e uniti si possono vincere le grandi sfide, possiamo sconfiggere il terrorismo, risolvere il problema dell’immigrazione”, dice il presidente del Europarlamento, Antonio Tajani, nel suo messaggio di saluto iniziale. E Bergoglio, riprendendo i temi affrontati nella sua visita a Strasburgo, torna sugli elementi costitutivi di quel “progetto comune” che venne sottoscritto sessant’anni fa. Li riassume in cinque pilastri: “La centralità dell’uomo, una solidarietà fattiva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l’apertura al futuro”.

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Sul tema della solidarietà Bergoglio si sofferma a lungo. Lo presenta come “antidoto più efficace ai moderni populismi”, come risposta alle “spinte centrifughe”. Ma anche come perno sul quale far crescere la “capacità di aprirsi agli altri”. Il Papa cita il cancelliere tedesco Adenauer e la sua promessa di una Unione che non avrebbe eretto intorno a sé “barriere invalicabili”. Aggiunge Francesco: “In un mondo che conosceva bene il dramma di muri e divisioni, era ben chiara l’importanza di lavorare per un’Europa unita e aperta e la comune volontà di adoperarsi per rimuovere quell’innaturale barriera che dal Mar Baltico all’Adriatico divideva il continente”. Oggi, commenta, si è persa la “memoria della fatica” compiuta per superare le barriere di sessant’anni fa. E se all’epoca “generazioni ambivano a veder cadere i segni di una forzata inimicizia”, adesso si discute “di come lasciar fuori i ‘pericoli’ del nostro tempo: a partire dalla lunga colonna di donne, uomini e bambini”.
In questi sessant’anni, ammette il Papa, il mondo è cambiato: “Se i padri fondatori, che erano animati dalla speranza di un futuro migliore e sopravvissuti ad un conflitto devastante, erano animati dalla speranza di un futuro migliore e determinati dalla volontà di perseguirlo, evitando l’insorgere di nuovi conflitti, il nostro tempo è più dominato dal concetto di crisi”. Ma la parola crisi, spiega il pontefice, “non ha una connotazione di per sé negativa, non indica solo un brutto momento da superare: ha origine dal geco e – ricorda Francesco – significa investigare, vagliare giodicare”. Quello contemporaneo, quindi, è “un tempo di discernimento che ci invita a vagliare l’essenziale e a costruire su di esso”. Un tempo di “sfide e di opportunità”.
In questo senso l’Unione Europea, nelle parole del Papa, “a differenza di un essere umano di sessant’anni non ha davanti a sé un’inevitabile vecchiaia, ma la possibilità di una nuova giovinezza”. Il successo, però, è legato alla capacità di “discernere la via di un nuovo umanesimo europeo, fatto di ideali e concretezza”. Si tratta di “edificare società autenticamente laiche, scevre da contrapposizioni ideologiche, nelle quali trovano ugualmente posto l’oriundo e l’autoctono, il credente e il non credente”. Si tratta, inoltre, di investire nello sviluppo e nella pace. Ma “lo sviluppo non è dato da un insieme di tecniche produttive”, esso “riguarda tutto l’essere umano: la dignità del suo lavoro, condizioni di vita adeguate, la possibilità di accedere all’istruzione e alle necessarie cure mediche”. Francesco cita Paolo VI: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”. Ma ammonisce: “Non c’è vera pace quando ci sono persone emarginate o costrette a vivere nella miseria. Non c’è pace laddove manca lavoro o la prospettiva di un salario dignitoso. non c’è pace nelle periferie delle nostre città, nelle quali dilagano droga e violenza”.

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