La grande bellezza della sentenza di Roma: tutti dicono d'avere ragione
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La grande bellezza della sentenza di Roma: tutti dicono d'avere ragione

Se si fosse parlato solo di un giro di corruzione senza la parola mafia la vicenda avrebbe avuto la stessa eco?

Salvatore Buzzi
Salvatore Buzzi
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Diego Minuti Modifica articolo

21 Luglio 2017 - 16.32


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Ciascuno di noi, nella storia di famiglia, ha certamente una zia che, ogni qualvolta nei nostri giochi da bambini scoppiava una zuffa quando si trattava di decidere chi avesse vinto, interveniva convincendo tutti, anche chi aveva perso, d’essere stati baciati dalla vittoria. Cosa impossibile, eppure quella zia lo faceva, riuscendo a mandarci a letto felici e contenti. Ecco, quanto sta accadendo nelle ore successive alla sentenza della decima sezione del tribunale di Roma mi ha riportato indietro nel tempo, perché, con motivazioni e spirito diversi, nessuno ammette d’essere stato sconfitto, anzi tutti dicono d’avere vinto, in un modo o nell’altro.
Gioiscono gli avvocati degli imputati (oltre, ovviamente, quelli di chi è stato assolto) perché il tribunale ha disatteso la richiesta della procura di condanne per associazione per delinquere di tipo mafioso. Giusto, si rischiavano condanne ben più pesanti, ma non credo che ci sia molto di che vantarsi per coloro che per anni sono riusciti – come disse Salvatore Buzzi – a mungere la vacca degli appalti pubblici, pur dovendo pure fare mangiare qualcuno. Ok, non sono mafiosi, come la pensava forse la maggior parte di coloro che hanno seguito l’indagine con un minimo di background in materia di studio dei fenomeni mafiosi. Ma restano sempre, almeno in attesa della sentenza definitiva, una manica di delinquenti che usavano le minacce ed anche la forza, ma di più il vile denaro. Simbolici trenta denari per i quali funzionari pubblici e esponenti politici hanno tradito il rapporto fiduciario con l’amministrazione e gli elettori. Tutto il resto è solo una occasione di discussione e null’altro. Per l’avvocato Naso, difensore di Carminati, non c’era mafia, ma solo quattro ”cazzari” che tanto ”cazzari” non dovevano essere se sono riusciti a convincere esponenti dei partiti maggiori ad aiutarli nell’espugnare la cittadella degli appalti. Il succo della faccenda, quindi, a mio avviso, resta quello che chi froda, accaparrandosi commesse che altrimenti non gli spetterebbero, è un disonesto, mafioso o no, al quale non si deve più concedere la possibilità di delinquere ancora. Gianni Alemanno e Ignazio Marino intervengono per dire, il primo, che Roma non è mai stata mafiosa, il secondo per accusare Renzi d’averlo fermato mentre stava facendo pulizia. Ma entrambi non menzionano il dovere che ha un sindaco di vegliare sul corretto andamento dell’amministrazione e che, quindi, laddove ci sono funzionari corrotti e delinquenti corruttori, si deve intervenire con la massima durezza. E non mi pare che entrambi lo abbiano fatto, pur se Marino ha dalla sua il modo traumatico con il quale è stato fatto fuori (politicamente) a metà del guado e quindi può recriminare su quello che voleva e non ha potuto fare.
I partiti, su un altro fronte, ora si affannano ad accreditare le tesi più funzionali alle loro strategie. Il Pd con il commissario del partito romano, Matteo Orfini, sottolinea che a Roma la mafia c’è e dice che basta fare un giro in centro per vedere quanti locali sono stati sequestrati perché ritenuti riconducibili a boss mafiosi. Cosa statisticamente vera, ma Orfini fa una affermazione troppo superficiale ponendo sullo stesso piano territori sui quale insiste il potere intimidatorio della mafia e quelli che le consorterie scelgono per riciclare gli ingentissimi proventi illeciti, a cominciare da quelli legati agli stupefacenti. Andando con lo stesso metro usato da Orfini, e faccio solo un esempio banalissimo, la Ruhr è mafiosa per il fatto che la ‘ndrangheta vi ha fatto grossi investimenti.
Alla luce della sentenza lo stesso movimento dei 5 stelle dovrebbe ricalibrare la propria posizione e ripensare a quanto, da due anni a questa parte, i suoi esponenti hanno detto per santificare la definizione ”mafia Capitale” che innegabilmente li ha aiutati nella scalata al Campidoglio. Forse Virginia Raggi, grazie anche alla sua estrazione professionale, l’ha capito più di altri suoi colleghi di partito, e nel suo primo commento ha detto una cosa apparentemente scontata, al limite della banalità (”“Quello che la sentenza ha accertato è che c’è stato un pesantissimo ed intricato sistema che per anni ha tenuto sotto scacco la politica”) , ma che definisce con esattezza il saccheggio di cui Roma è stata oggetto per effetto appunto di un ”sistema”, definizione che non si attaglia alla mafia, i cui circuiti decisionali sono ben più tortuosi, ma ai meccanismi di corruttela e di cointeressenze messi in piedi da Massimo Carminati e dai suoi sodali.
Per ultima la procura della repubblica che, puntando forte sul 416 bis, sperava di ottenere condanne più dure per i colpevoli. Il teorema non ha retto (e la relativa brevità della camera di consiglio ne è la conferma) e il tribunale lo ha demolito. Ma siamo sicuri che quello della procura sia stato un errore concettuale o sia, invece, frutto in un preciso disegno?
Se, dopo l’arresto di Carminati e Buzzi e dei politici al loro soldo, si fosse parlato solo di un giro di corrotti e corruttori, la vicenda avrebbe avuto la stessa eco, in Italia e in tutto il mondo? A conti fatti, credo di no.

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