Marco: 'sono malato di Sla e ho diritto alla sessualità'
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Marco: 'sono malato di Sla e ho diritto alla sessualità'

In Italia nonostante la convenzione dell'Onu per i diritti dei disabili alla sessualità, di cui il nostro Paese è firmatario, la legge non è stata ancora applicata

Marco Pedde
Marco Pedde
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17 Ottobre 2017 - 09.43


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Una storia che deve far riflettere. La Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) che gli è stata diagnosticata nel 2010 non gli ha precluso la possibilità di vivere. Nonostante il suo fisico sia imprigionato nella gabbia della malattia, Marco Pedde, barista nuorese di 49 anni, ha scelto di utilizzare tutto ciò che le leggi mettono a disposizione di un uomo nella sua condizione. Finché ha potuto ha viaggiato, dentro e fuori la Sardegna. E anche adesso che i viaggi sembrano del tutto preclusi, ama spostarsi a Sassari per veder giocare la Dinamo basket, assistito da un’equipe di amici specializzati nella rianimazione.
    C’è un diritto, però, che gli viene negato: quello alla sessualità. Ed è per questo che inizia la sua battaglia. “In Italia nonostante la convenzione dell’Onu per i diritti dei disabili alla sessualità, di cui il nostro Paese è firmatario, la legge non è stata ancora applicata”, spiega Marco, denunciando un profondo disagio che, sottolinea, “aumenta la mia disabilità”.
    “In Italia a differenza di altri Paesi questo è un argomento tabù. Per me non lo è: ne parlo con le mie amiche, con le mie sei sorelle, con la mia anziana madre, con mio figlio di 12 anni, tutti appoggiano la mia battaglia. Il bisogno sessuale – argomenta Marco – deve essere messo alla stregua di qualsiasi altro bisogno per un disabile. Poter accedere al ‘piacere’ fa bene alla mente, ma è indispensabile la figura dell’assistente sessuale: la sessualità non deve essere circoscritta alle mere attività sessuali, ma include l’erotismo, la sensualità e la dimensione affettiva che comporta l’esperienza del contatto fisico. In Italia ci sono persone formate per questo, ma le Asl non assumono le professioniste – racconta ancora – Altri malati come me stanno facendo la battaglia e lo facciamo anche per tutte quelle persone che per motivi diversi non sollevano la voce ma sentono l’esigenza di vedersi riconosciuto questo diritto”.

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