Un Paese spaccato a metà, tra chi condanna “senza se e senza ma” la violenza sulle donne e chi invece ritiene che sia comunque un fatto privato o che in alcuni casi anche le vittime abbiano delle responsabilità. È quanto emerge da una ricerca su un campione di mille persone, rappresentative della popolazione adulta degli italiani, condotta da Ipsos e da WeWorld, ong che ha progetti in Italia e all’estero a favore dell’infanzia e delle donne. Il 49% pensa che le colpe della violenza di genere non siano in alcun modo attribuibili alla donna e che sia un fenomeno che riguarda tutti. Il 35% invece, pur condannando la violenza, ritiene che sia più una faccenda famigliare, da risolvere in privato. C’è poi un 16% che attribuisce alla donna qualche responsabilità perché magari ha provocato l’uomo, oppure l’ha esasperato o tradito. “Ancora oggi nel 2017 fotografiamo un Paese profondamente diviso nell’opinione su ciò che si configura come violenza di genere -commenta Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos-. Un cambiamento radicale di mentalità è ancora piuttosto lontano, ma per fortuna ci sembra che possiamo contare sulle agenzie educative primarie per incidere sulle nuove generazioni a riparazione delle attuali carenze”.
L’indagine rivela anche altri aspetti sorprendenti. Sono principalmente le donne, dai 54 ai 65 anni, che vivono nel nord ovest dell’Italia a schierasi dalla parte delle vittime senza eccezioni, mentre coloro che ritengono la violenza un fatto risolvere in famiglia sono uomini e vivono nel nord est. Chi tende a giustificare l’uomo è invece giovane (18-29 anni) e vive nel Centro Sud.
Quel che è certo, comunque, è che il fenomeno è ormai ben conosciuto. Per un italiano su tre la violenza sulle donne è “molto diffusa” e per il 63% i casi sono aumentati negli ultimi anni e l’85% è consapevole che accadono soprattutto all’interno delle mura domestiche. Ma poi c’è ancora uno zoccolo duro di persone che è portato a tollerare alcuni comportamenti. E così per il 19% degli intervistati è lecito “fare battute e prese in giro a sfondo sessuale”, per il 17% “fare avances fisiche esplicite”, il 10% “obbligare una donna a lasciare il lavoro o a cercarne uno”, il 9% “impedire a una donna qualsiasi decisione in merito alla gestione dell’economia familiare” e l’8% “controllare o impedire amicizie di una donna con altre persone”. “La ricerca mette in luce uno stereotipo e un pregiudizio odioso e assolutamente anacronistico -dichiara Marco Chiesara, presidente di WeWorld-. Per la nostra ong riuscire a scardinare questo modo di pensare è fondamentale”.
Agli intervistati sono state sottoposte anche domande sulla violenza assistita, ossia quella di cui sono vittime i bambini quando vedono episodi di violenza in famiglia (o ne percepiscono le conseguenze sulla mamma). Il 49% non ne ha mai sentito parlare, il 36% l’ha sentita nominare, mentre il 15% sa di che cosa si tratti.
Dall’indagine emergono anche alcuni stereotipi duri a morire sul ruolo della donna e dell’uomo all’interno della famiglia. Se l’84% è d’accordo sul fatto che gli uomini devono partecipare alla gestione della casa (fare le pulizie o la spesa o cucinare), il 65% ritiene comunque che la donna sia capace di sacrificarsi molto più di un uomo. Non solo, Il 37% ritiene che tutte le donne sognino di sposarsi e il 36% che, quando ci sono i figli, è meglio che sia il marito a lavorare e la donna a restare a casa.