Denuncia in Vaticano: vescovi e cardinali trattano le suore come domestiche
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Denuncia in Vaticano: vescovi e cardinali trattano le suore come domestiche

L'Osservatore romano pubblica un'inchiesta in cui punta l'indice contro situazioni di umiliazione e disagio. Un segno della battaglia di Francesco contro il maschilismo

Suore in Vaticano
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2 Marzo 2018 - 09.50


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Sessismo in Chiesa. E questo già si sapeva o si immaginava: Secondo l’inserto mensile “Donne chiesa mondo” de l’Osservatore Romano. nella vita del personale ecclesiastico ipermangono disparità, sentimenti di umiliazione e scontento. L’articolo si intitola “Il lavoro (quasi) gratuito delle suore” e fa parlare “sotto il sigillo della confidenza”, religiose “frustrate” dalla vita che conducono.
Mentre Papa Francesco si dice “preoccupato per il persistere di una mentalità maschilista”, il supplemento del quotidiano vaticano scrive che nelle case dei prelati diverse religiose “svolgono un servizio decisamente poco riconosciuto”.
“Suor Marie (i nomi delle religiose sono di fantasia, ndr) è giunta a Roma dall’Africa nera una ventina di anni fa. Da allora accoglie religiose provenienti da tutto il mondo e da qualche tempo ha deciso di testimoniare ciò che vede e che ascolta sotto il sigillo della confidenza”, si legge nella dettagliata inchiesta.
“Ricevo spesso suore in situazione di servizio domestico decisamente poco riconosciuto – dice la religiosa -. Alcune di loro servono nelle abitazioni di vescovi o cardinali, altre lavorano in cucina in strutture di Chiesa o svolgono compiti di catechesi e d’insegnamento. Alcune di loro, impiegate al servizio di uomini di Chiesa, si alzano all’alba per preparare la colazione e vanno a dormire una volta che la cena è stata servita, la casa riordinata, la biancheria lavata e stirata. In questo tipo di ‘servizio’ le suore non hanno un orario preciso e regolamentato, come i laici, e la loro retribuzione è aleatoria, spesso molto modesta”.
Ma a rattristare di più suor Marie è che quelle suore raramente sono invitate a sedere alla tavola che servono. “Un ecclesiastico pensa di farsi servire un pasto dalla sua suora e poi di lasciarla mangiare sola in cucina una volta che è stato servito? È normale per un consacrato essere servito in questo modo da un’altra consacrata? E sapendo che le persone consacrate destinate ai lavori domestici sono quasi sempre donne, religiose? La nostra consacrazione non è uguale alla loro?”. Qualcuno le ha addirittura soprannominate “suore pizza”, in quanto al lavoro loro assegnato.
Prosegue suor Marie: “Tutto ciò suscita in alcune di loro una ribellione interiore molto forte. Provano una profonda frustrazione ma hanno paura di parlare perché dietro a tutto ci possono essere storie molto complesse. Nel caso di suore straniere venute dall’Africa, dall’Asia e dall’America latina, ci sono a volte una madre malata le cui cure sono state pagate dalla congregazione della figlia religiosa, una fratello maggiore che ha potuto compiere i suoi studi in Europa grazie alla superiora”.
Se una di queste religiose torna nel proprio Paese, “la sua famiglia non capisce. Le dice: ma come sei capricciosa! Queste suore si sentono in debito, legate, e allora tacciono. Tra l’altro spesso provengono da famiglie molto povere dove i genitori stessi erano domestici. Alcune dicono di essere felici, non vedono il problema, ma provano comunque una forte tensione interiore”.
“Certe suore arrivano ad assumere ansiolitici per sopportare questa situazione di frustrazione”. È difficile valutare l’entità del problema del lavoro gratuito o poco pagato e comunque poco riconosciuto delle religiose. Anzitutto bisogna stabilire che cosa s’intende con questo.
“Spesso significa che le suore non hanno un contratto o una convenzione con i vescovi o le parrocchie con cui lavorano”, Spiega suor Paule, una religiosa con incarichi importanti nella Chiesa. “Quindi vengono pagate poco o per niente. Così accade nelle scuole o negli ambulatori, e più spesso nel lavoro pastorale o quando si occupano della cucina e delle faccende domestiche in vescovado o in parrocchia. È un’ingiustizia che si verifica anche in Italia, non solo in terre lontane”.

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