Caro Michele Serra, a scriverti è una donna che da ragazzina era una bulla liceale.
Vivo a Cagliari e ho frequentato il liceo classico più “cattivo” della storia dei licei classici della Sardegna (che ancora oggi quando dico “Dettori” mi chiedono con curiosità e timore “se è davvero così come si dice”) e sono stata una di quelle “cattive”.
Alle medie girava la voce che se non eri benestante era meglio non iscriverti in quella Scuola, se no i tuoi stessi compagni ti avrebbero snobbato per anni. Non erano fantasie. Era così. Non in tutte le classi ma in molte sì. Ho visto i muri di Berlino nella mia scuola. I ghetti. Le classi per quelli di città e le classi per quelli “dei paesi”.
Ho conosciuto famiglie che hanno insegnato ai figli solo a sgomitare, a sentire la puzza dei poveri, a giudicare e condannare chi non era vestito come loro, chi non aveva scarpe griffate. Che se prendeva la corriera era di paese (“quindi non farci amicizia, figlio/a mio/a”). Ho visto compagni inventarsi il lavoro dei genitori per non dire quale era quello vero e non sembrare mediocri. Ho visto la vergogna il giorno dei colloqui di alcuni perché la mamma non aveva la borsa firmata.
Erano i figli di famiglie che avevano fatto il liceo classico e che se ne fottevano alla grande di educare i propri ragazzi all’empatia, al rispetto del prossimo. Le ho frequentate quelle famiglie, pranzi, cene e vacanze insieme. Ho respirato classismo di sinistra (perché votare Berlusconi era da ignoranti e poracci) per cinque anni.
Oggi quando torno nelle scuole a parlare di violenza di genere raccontata dal media, vengo rispettata, ascoltata e accolta come una risorsa negli istituti tecnici, da alunni e professori. Mi salutano all’ingresso e all’uscita e a volte mi sorridono pure. Nei licei a volte sbuffano e mi guardano con compiacimento solo perché sono stata “una di loro”. Quindi sì: Michele Serra non hai capito molto né della borghesia né del “popolo”, né del bullismo, né dell’educazione. Il greco e latino ci aprono la mente, è vero. Ma non rendono migliori. A volte pure più stronzi. Se mi chiedessero cosa ho imparato di più nella mia scuola tra il 2000 e il 2005, risponderei a essere cattiva.
Quando incontro quelli a cui abbiamo reso l’adolescenza un incubo perché non erano abbastanza trendy, cambio marciapiede. Mi infilo gli occhiali da sole mentre piove. Perché ora sono io a vergognarmi come una ladra: di sogni e felicità altrui.
*Precisazione d’obbligo. Io ho raccontato la mia esperienza e quella di tanti che conosco, ma non è stato per tutti così. Lo voglio ribadire perché non è mia intenzione offendere una grande Scuola che ha accolto alunni come Antonio Gramsci (eh sì, lo considero un grande onore) ma solo chiarire che dobbiamo smetterla di pensare che benestante significhi educato e istituti professionali siano sinonimo di poveri, ignoranti e maleducati. La mia esperienza di vita mi ha provato esattamente il contrario.