Una borsa di studio dedicata al padre, morto nella scorta di Falcone
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Una borsa di studio dedicata al padre, morto nella scorta di Falcone

Giovanni Montinaro, 27 anni, figlio di Antonio Montinaro, morto nell'attentato al magistrato. Con i soldi del risarcimento ha creato una borsa di studio

Il nome di Antonio Montinaro sul monumento a Palermo sul luogo dell'attentato
Il nome di Antonio Montinaro sul monumento a Palermo sul luogo dell'attentato
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

2 Maggio 2018 - 20.34


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Ad avere lo stomaco ed il coraggio di leggere gli articoli di cronaca, si è sempre assaliti da un doloroso sconforto. Le notizie sul malaffare, dei mali della politica e della società, sono sempre lì a ricordarci chi siamo, quel che valiamo: sembra proprio che questo Paese non riesca a ripulirsi dal lordume della disonestà generalizzata, capillarmente diffusa nella sfera pubblica come in quella privata.

Ministri della Repubblica, Membri del Parlamento, Generali delle Forze armate, vertici di aziende pubbliche accusati di ogni nefandezza; Presidenti di regioni e di province corrotti e collusi, sindaci in odore di mafie e di camorre; Presidenti del Senato che col denaro pubblico creano staff milionari alla faccia della sobrietà e dei tempi austeri…

E indagini, rinvii a giudizio e arresti per reati commessi da politici di qualsivoglia livello, dal consigliere comunale del più piccolo dei paesi ai grossi calibri della politica nazionale; reati commessi da manager e funzionari pubblici, imprenditori, mediatori, affaristi, intermediari, da “luminari” della medicina, primari di ospedali di rilievo nazionale corrotti e “imprenditorializzati”, pronti a svendere la pubblica funzione per il proprio tornaconto personale in sommo spregio della salute dei pazienti, indagini e arresti su interminabili scandali della sanità, su faraoniche opere pubbliche e infrastrutture onerosissime per la collettività, la cui convenienza in termini di costi-benefici è del tutto indimostrata e a cui si accompagnano gli immancabili fenomeni di corruzione: la Tav, il Mose, l’assurdo futuribile Ponte sullo stretto di Messina, la Pedemontana lombarda, la costosissima Alta velocità Brescia-Padova (8 miliardi tutti a carico dello Stato), l’Alta velocità Milano-Genova (cosiddetta “Terzo valico”, poiché ne esistono già due sottoutilizzate: costo 7 miliardi), il grottesco progetto della stazione sotterranea per l’Alta velocità a Firenze (i treni in transito risparmierebbero appena quattro minuti), di cui peraltro proseguono i lavori (costo oltre i due miliardi) malgrado le stesse ferrovie abbiano dichiarato di non essere più interessate al progetto…

Alle macroscopiche truffe si sommano poi notizie da rubagalline, che farebbero quasi sorridere se non fosse per la nausea che procurano, come quella degli stipendi pubblici “mascherati” per i dirigenti del Coni a capo delle Regioni più importanti, “paghette mensili” (guai a definirli “compensi”: la legge non lo permette) elargite sotto forma di rimborsi forfettizzati (e quindi esentasse), in spregio alle regole e senza neanche l’obbligo di esibire ricevute, accompagnate dall’utilizzo delle intramontabili auto blu.

Insomma, è tutto un susseguirsi di frodi, ladrocinii e corruzioni, una interminabile catena di Sant’Antonio del malaffare. Poi però t’imbatti in una notizia, che in questa italica porcilaia spicca come un fiore meraviglioso. Riguarda Giovanni Montinaro, secondogenito di Antonio, il caposcorta del giudice Falcone. Giovanni è un giovane di ventisette anni. Ne aveva uno e mezzo quando il padre, non ancora trentenne, fu spazzato via dall’esplosivo del bestiale attentato. Giovanni ha di recente ottenuto un risarcimento in denaro da parte dello Stato, quello Stato che non ha saputo tutelare la vita di suo padre e di tanti e troppi altri morti nel suo nome. E cosa fa, Giovanni, con quei soldi? Li destina ad una borsa di studio per giovani laureati, a nome dell’Associazione “QuartoSavonaQuindici”, dal nome in codice dell’auto polverizzata dal tritolo su cui il padre perse la vita. Una borsa di studio destinata a tesi di laurea utili alla prevenzione e alla lotta “al fenomeno della criminalità organizzata, in particolare di stampo mafioso”. La borsa sarà presentata l’8 settembre, il giorno del compleanno del papà di Giovanni, e si atterrà rigorosamente ai principi di “trasparenza, correttezza, democraticità e meritocrazia”, cioè la negazione della realtà che insudicia il nostro vivere collettivo. La motivazione di Giovanni? Semplice, pulita, onesta: “Nasce dalla voglia di fare qualcosa, mio padre era uno che faceva, come il dottor Falcone. Lo faccio con la massima umiltà, io non ho studiato tanto, anche se leggo e non voglio sentirmi ignorante. Ma in questo paese non si crede nella ricerca, non ci si investe, e io l’ho voluto fare. Ho avuto tanto dagli altri, e voglio restituirlo in minima parte, mio padre era una persona generosa e buona.”

In fondo basta un gesto valoroso, poche, sagge, intelligenti parole, e il disgusto per i tanti mali di questo Paese scompare come d’incanto. Grazie, Giovanni: persone come te restituiscono dignità e pulizia ad un’intera nazione. E donano la speranza per un’Italia diversa.

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