Tso e non solo: ecco quattro nodi critici nei servizi per la salute mentale
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Tso e non solo: ecco quattro nodi critici nei servizi per la salute mentale

Gisella Trincas, presidente di Unasam, commenta la vicenda di Andrea Soldi, morto a Torino mentre veniva trasferito in ospedale per un Tso.

Gisella Trincas, presidente di Unasam
Gisella Trincas, presidente di Unasam
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31 Maggio 2018 - 09.13


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“Un vero e proprio atto criminale, che non ha niente a che fare con i trattamenti sanitari, ma esprime una cultura della coercizione e della violazione dei diritti delle persone con sofferenza mentale ancora troppo diffusa”: così Gisella Trincas, presidente di Unasam, l’Unione delle associazioni per la salute mentale, commenta la notizia della sentenza emessa oggi per la morte, nell’agosto 2015, di Andrea Soldi, un uomo di 45 anni con schizofrenia. Sono stati condannati a 20 mesi di reclusione i tre vigili e il medico psichiatra che, quella mattina, tentarono di farlo salire in ambulanza per portarlo in ospedale per un trattamento sanitario obbligatorio. 

“La condanna è certamente un risultato positivo – commenta Trincas – ma bisogna ricordare che questi episodi di aggressione verso le persone con sofferenza mentale non sono isolati. Perfino quelli con esito mortale, pur essendo molto meno diffusi, tuttavia accadono: e questo è per noi molto preoccupante, ci mette in allarme come organizzazioni e come familiari”. Quello che colpisce, infatti, della vicenda di Andrea Soldi, è che “sarebbe potuto capitare a chiunque dei nostri familiari. Questo ragazzo stava semplicemente seduto in panchina, la sua unica colpa era di aver sospeso la terapia, mentre la responsabilità degli operatori è di non averlo portato a fidarsi dei servizi, accettando il percorso stabilito per lui”. 

Nessuna presa in carico efficace, dunque, ma “sempre la stessa modalità – denuncia ancora Trincas -: bloccare le persone, applicare il Tso e imporre le cure”. E’ questo dunque, per Trincas, il primo problema che emerge da questa e da altre storie: “La non applicazione delle norme sul consenso informato. Di fatto, non si riconosce alle persone con disturbo mentale il diritto a rifiutare le cure, riconosciuto invece a tutti gli altri cittadini. Eppure, non esiste una norma diversa per queste persone, il diritto è il medesimo: la persona può rifiutare le cure. I servizi, da parte loro, dovrebbero fare un lavoro di accompagnamento, nella cultura del rispetto dei cittadini, non certo attivando il Tso”. Ecco allora il secondo problema, “diffuso su tutto il territorio nazionale: il Tso viene applicato come se fosse la norma e non una straordinaria eccezione, come stabilisce la legge. I servizi eseguono i Tso con una facilità incredibile”. E spesso Tso fa rima con “contenzione”, che è il terzo problema evidenziato da Trincas nel sistema dei servizi di presa in carico dei pazienti con sofferenza mentale: “La contenzione, che non ha niente a che fare con il Tso, è tuttavia molto diffusa non solo servizi di salute mentale, ma in tutto il sistema sanitario e sociale: i pazienti vengono legati nelle comunità terapeutica, nelle Rsa, nelle strutture per anziani, nelle comunità per minori. La ‘cultura’ della privazione della libertà delle persone e degli interventi coercitivi è molto diffusa nel nostro Paese, sebbene le leggi neghino la possibilità di procedere in tal senso e sebbene l’Italia abbia sottoscritto protocolli internazionali sul rispetto dei diritti umani: siamo di fronte a un problema di dimensioni enormi – denuncia Trincas – con governi regionali e centrali che su tali questioni non si pronunciano. Così, ci ritroviamo sempre a dover intervenire come organizzazioni, denunciando e costituendoci parte civile”.

A tal proposito, particolare rilevanza assume, per Trincas, il monitoraggio delle strutture disposto e avviato dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute  o private della libertà personale, Mauro Palma. “E’ estremamente importante che si proceda a un monitoraggio serrato e si aprano delle ispezioni vere nei luoghi della cura, perché questo della contenzione e della violazione dei diritti è un problema molto diffuso. Io personalmente – riferisce Trincas – ho portato via una ragazzo da una rinomata comunità terapeutica del Nord, che di fronte alle crisi del ragazzo procedeva con la contenzione, compiendo automaticamente e autonomamente azioni coercitive gravissime”. C’è poi il quarto problema, che riguarda in generale il sistema dei servizi socio sanitari: l’impreparazione degli operatori chiamati a intervenire con e accanto agli operatori sociali. Nella maggior parte dei casi, la polizia. “I vigili urbani, per esempio nel caso del Tso, vengono chiamati dal servizio territoriale di salute mentale – spiega Trincas – Un buon servizio territoriale – osserva – dovrebbe garantire la formazione anche degli operatori della polizia e dei vigili, proprio per dare strumenti di conoscenza dei problemi che potrebbero trovarsi di fronte e indicazioni su come intervenire in presenza di una necessità reale”. Non è però il caso di Torino e di Andrea Soldi: “lì non c’era neanche la necessità reale: c’è stata una vera e propria aggressione deliberata, senza alcuna giustificazione. Andiamo ben oltre le responsabilità dei servizi territoriali: siamo di fronte all’irresponsabilità e all’incapacità totale degli operatori di quel servizio, che sono intervenuti come se avessero a che fare con un criminale. Mentre quel ragazzo, lo ripeto, era semplicemente seduto su una panchina della piazza che frequentava sempre”. Lo dimostra la solidarietà manifestata dalla comunità, di segno opposto rispetto allo stigma da cui spesso il disagio mentale è avvolto. “Quando emergono storie di questo tipo, immediatamente la comunità si schiera dalla parte della vittima – conferma Trincas – Davanti a una così evidente di violazione dei diritti umani, di fronte a un vero e proprio atto criminale, non esiste stigma”, conclude Trincas. (cl)

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