"Io, rom italiano, con 2 lauree e un futuro da professore di filosofia"
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"Io, rom italiano, con 2 lauree e un futuro da professore di filosofia"

Fiore Manzo, nato in un campo a Cosenza, oggi ha riscattato la sua vita di marginalità e combatte, anche attraverso la sua storia, per abbattere stereotipi e pregiudizi sui rom.

Fiore Manzo
Fiore Manzo
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21 Giugno 2018 - 10.24


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 Quando dice alla gente di essere rom, molti non ci credono, qualcuno storce il naso. “Credono che i rom siano quelli che chiedono l’elemosina, gli accattoni, i ladri”. E invece no. Fiore Manzo è rom, italiano da decine di generazioni. “Italiano da 600 anni” specifica con orgoglio. Fiore ha 25 anni, è nato nel campo rom di Via Gergeri, a Cosenza, parla calabrese e ha frequentato l’Università. Ha due lauree, la prima in scienze dell’educazione ambientale e la seconda in scienze pedagogiche (gli mancano soltanto due esami). Ha un futuro da professore alle scuole superiori. “Il mio sogno è l’insegnamento di filosofia”. Un rom laureato, perfino filosofo. “E’ difficile abbattere i pregiudizi della gente” ripete. Per lui è quasi una missione di vita. “Perché alla gente appaio così strano? Non sono mica l’unico rom laureato, ce ne sono tantissimi”. Eppure la gente continua a sorprendersi. Fiore, dopo la crescita nel campo, oggi vive in una normale casa, sempre a Cosenza, è fidanzato con una ragazza “non rom”, così la definisce lui. “Ci siamo conosciuti a scuola, io ero al primo anno di università, lei era in quinta superiore, andai nella sua classe a raccontare agli studenti chi sono i rom”.

Lui sa tutto della storia di questa etnia. “I rom sono uno dei principali gruppi etnici della popolazione di lingua romanì, originaria dell’India del nord. La parola rom deriva dal sanscrito dom, che significa essere umano”. Vorrebbe spiegarlo al ministro dell’Interno Matteo Salvini, che nelle ultime ore ha annunciato un piano per il censimento dei rom. “Ma è anticostituzionale censire gli esseri umani in base all’etnia” dice Fiore. Lui sente il peso dei pregiudizi sulla pelle: “Provo angoscia quando sento parlare Salvini, fa male dover specificare ogni volta che noi, rom italiani, siamo presenti in Italia da 600 anni, fa male dover specificare ogni volta che la nostra cultura non è nomade, ma siamo stati costretti al nomadismo, siamo stati perseguiti e discriminati, anche noi abbiamo la nostra shoah, si chiama porrajmos. Fa male dover spiegare ogni volta che i rom nei campi sono una piccola minoranza, tutti gli altri vivono in case normali”. Anche Fiore, come Salvini, è per il superamento dei campi: “E’ vergognoso vivere nei campi, per me è stato difficile crescere in un campo, però vanno fatte politiche serie, dobbiamo stare attenti all’uso delle parole per non creare una guerra tra ultimi e penultimi”. 
Fiore ricorda la sua infanzia, fatta di precarietà e marginalità. “Ricordo i blitz dei poliziotti, entravano in massa con un mandato di perquisizione, i carabinieri col mitra in mano, io avevo dieci anni, avevo paura”. Quei controlli servivano per scovare presunti delinquenti all’interno del campo: “Certo che c’erano delinquenti, ma la marginalità crea ovunque devianza, succede in tutti i quartieri del mondo”. E poi quel senso di vergogna che l’ha accompagnato per buona parte dell’infanzia: “Mi vergognavo di fronte ai miei compagni di classe, era come se vivessi in un’altra città, loro avevano una casa normale, io vivevo nelle baracche del campo. Ma questa non è stata una scelta, è stata una costrizione”.
Oggi, dopo mille sacrifici e dopo mille pregiudizi, Fiore è un ragazzo felice, perfettamente integrato nella sua città. Scrive poesie per sconfiggere l’odio. E’ perfino poeta. Scrive poesie come questa: “Non guardarmi con occhi mielati se poi dietro il tuo beffardo buonismo si nasconde una impavida impronta di razzismo. Tu mi usi e poi mi getti come un Fiore appassito”. Crede nella forza delle parole e della letteratura. E non vede l’ora di insegnare nelle scuole superiori. Per aiutare i giovani a sconfiggere il pregiudizio”.

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