Chissà cosa avrà pensato Roberto Racinaro quell’istante della notte del 2 giugno 1995 quando verso le quattro uno scampanellio interruppe bruscamente il suo sonno. Quello che gli passò in mente lo sappiamo grazie alle sue memorie contenute nel volumetto “La giustizia virtuosa. Manuale del detenuto dilettante” (Liberilibri, 1996).
“Chi può essere a quest’ora, solo mio figlio che ha dimenticato le chiavi o al massimo qualche automobilista a cui ho sbarrato l’accesso con la mia vettura”, si rassicurava Racinaro. Fino a quella notte Roberto Racinaro era un grandissimo studioso di Filosofia e il Magnifico Rettore dell’Università di Salerno, entrato in carica nel 1987.
Da alcuni giorni molti dei suoi collaboratori si erano insospettiti del curioso ed inusuale viavai delle forze dell’Ordine presso gli uffici del Rettorato e con ansia domandavano spiegazioni proprio a lui che sembrava neppure accorgersene.
Era la notte del 2 giugno. Tutto crollò, i suoi valori, la sua carriera, la sua stessa esistenza quella notte della festa della Repubblica di ventitré anni fa, una Repubblica scossa e minata allora dal putiferio di Tangentopoli che stava scardinando un intero sistema politico ed amministrativo. Con ventisette capi di imputazione, tra cui abuso d’ufficio e concorso in associazione a delinquere, un maresciallo dei Carabinieri invitava il Rettore, autore dei saggi più accreditati su Hegel, a vestirsi in fretta e a lasciare la sua abitazione per essere condotto in Questura. Da quel 2 giugno 1995 Salerno e l’intera comunità accademica non si è mai del tutto completamente ripresa ed ancora oggi i motivi di tanto accanimento e le ragioni su chi possa aver voluto così diabolicamente la testa di Roberto Racinaro sono rimasti ignoti. Un golpe bianco in piena regola.
Caso volle che in quel periodo scadeva anche il suo primo mandato da Rettore. Le elezioni si tennero comunque, in quell’Ateneo decapitato ed ammutolito e scontato fu l’esito del risultato: un plebiscito per il Rettore uscente, al quale i colleghi avevano sin da subito manifestato tutta la loro piena solidarietà.
Racinaro, con grande dignità, si dimise per non trascinare l’Ateneo in una bolgia giudiziaria e per non condizionare nessuno. Questo però, non bastò per convincere i magistrati titolari dell’inchiesta a credere nella sua innocenza. La “Macchinazione” fu compiuta in maniera completa quando lo stesso magistrato ritenne necessaria la reclusione di Racinaro. Rimase in carcere ventisette giorni, poi, almeno, gli furono concessi i domicilari.
Dal 1995 al 2011. Al lettore può sembrare strano ma dal 1995 sino al 2011 quando il Rettore fu assolto con formula piena da ogni accusa, nessuno più si occupò del “Caso Racinaro”. Il Rettore, tranne i suoi storici colleghi che lo assistettero nella sua prima parabola distruttiva quando un paio di ictus lo costrinsero, prima dell’assoluzione, sulla sedia a rotelle, fu lasciato al suo triste destino. Ancora oggi, dopo che ci ha lasciato all’età di 70 anni lo scorso 14 giugno, pende in Cassazione la richiesta di risarcimento danni per quella ingiusta sentenza.
L’intera parabola, e la condanna di un uomo, e di un accademico è contenuta in un semplice foglio, di quelli che si inviano al Ministero in risposta alla richiesta di occupazione spazio degli Atenei, carte che passano in ufficio ad ufficio e che poi sono destinate al Ministero della Giustizia. Proprio su uno di quei fogli qualcuno fece un’ imprecisione (voluta?) e poiché su quel foglio vi era anche la firma del Rettore come era logico che fosse, tanto bastò a far scattare l’imputazione di “abuso d’ufficio”.
Le memorie A ricordarlo oggi con affetto è Giovanna Scarsi, per anni Preside del Liceo “Torquato Tasso” di Salerno che commenta: “Avevano colpito al cuore l’Università e permesso di accusare un uomo buono, trasparente”.
Secondo Massimiliano Amato, giornalista “Fu l’amara consapevolezza di aver fatto da capro espiatorio a consumare lentamente il Rettore gentile, l’umanista rigoroso che aveva gestito l’insediamento dell’ateneo fuori dal perimetro cittadino.”, mentre per l’ex Deputato Tino Iannuzzi “Racinaro fu un autentico galantuomo”.
Di Racinaro, lo studioso di filosofia che amava Hegel, oggi, rimane il ricordo e l’ombra. Il ricordo di un uomo coltissimo e disponibile e la sua ombra come monito contro ogni facile, disinvolto giustizialismo.