“A San Vittore, ho trovato un’umanità incredibile, dalle compagne al direttore, la vicedirettrice e gli assistenti. Quando mi hanno detto che sarei andata via, ho pensato: come faccio con la partita di pallavolo contro il maschile? E le mie allieve del corso di yoga? È stato un secondo, poi è esplosa la felicità di riabbracciare i miei. Però ho promesso a tutte che le lezioni le farò”. Giulia Ligresti, pochi giorni dopo la sentenza che l’ha assolta dalle accuse di falso in bilancio e aggiottaggio nel caso Fonsaimento e 62 giorni di carcere, è un fiume in piena di emozioni e sentimenti. Giulia racconta al Corriere della Sera la sua vita in carcere.
“Quando sono uscita c’era la ola. Non ho mai smesso di crederci e ho impegnato tutto il tempo di cose. Mie e delle altre. Sempre attenta a non urtare nessuno. Una legge che devi imparare: il rispetto degli spazi che lì sono soggettivi. C’è tanta aggressività e violenza, tanta energia compressa. Il carcere non è solitudine, come erroneamente si pensa. È invece condivisione, più di qualunque altro luogo. È solidarietà, comunione, sopravvivenza, ossessione. Ogni discorso è ripetuto all’infinito, ogni novità vissuta come un evento speciale. E ogni cambiamento fa paura”.
A Vercelli invece racconta che il carcere era un inferno
“Stavo male, pensavo ai miei figli. Stavo impazzendo. E ho patteggiato. Leo aveva 9 anni. Le zanzare mi massacravano. Ero in cella da sola. Facevo qualche flessione per muovermi, ma per 23 ore stavo lì. Fra la turca e la branda. Era agosto. Un inferno. Lì sì che la solitudine mi ha piegata, annientata, non trovavo una ragione. Mi sentivo innocente, ma nessuno sentiva la voce che urlava dentro di me. Uscivano notizie non controllate. E l’idea che chi non mi conosceva era lì a sputare sentenze e giudizi sulla base di ciò che veniva raccontato e scritto, spesso con un fine preciso, mi distruggeva, giorno dopo giorno. Nel mio caso, volevano farmi apparire ridicola e superficiale, nel modo più maschilista e meschino, utilizzando stereotipi del tipo shopping uguale oca ricca e viziata”.
E per il suo futuro fuori dalla cella immagina di tornare in India. “E il mio lavoro nel design, al salone sarò in mostra con i miei oggetti “Imperfect Love”. Questa ero io e questa sono io. Mai più altro”.