“Nel prossimo futuro la sfida fondamentale che la Chiesa dovrà sostenere sarà quella di difendere la dignità della persona umana e l’integrità del creato in un clima di sciovinismo, xenofobia e disprezzo per l’altro”. Tuttavia “la Chiesa non sarà sola in questa impresa, dal momento che l’ordine liberale ha dato origine a molte istituzioni, gruppi di volontariato e movimenti, che a loro volta potranno agire in nome del bene comune”.
Così scrive su Civiltà Cattolica padre Drew Christiansen, e il titolo del suo editoriale della prestigiosa rivista dei gesuiti è chiaro: “Il cattolicesimo di fronte all’ordine mondiale illiberale”: questo articolo tocca tanto la situazione europea quanto quella mondiale sottolineando che “in un’epoca di populismo nazionalistico la difesa della governance globale da parte della Chiesa certamente desterà sospetti. Ma il suo obiettivo è uno sviluppo equo e inclusivo».
E proprio in queste ore alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali si discute della minaccia nazionalista a livello globale. Una minaccia strettamente connessa con la minaccia terrorista visto che il perno della nuova minaccia nazionalista è l’idea di un’unità nazionale basata su un’unica identità religiosa nazionale, la stessa posta dai populisti mediorientali, cioè i gruppi del fondamentalismo islamista: loro hanno sempre invocato proprio questo principio, facendo dell’eliminazione dell’altro il loro obiettivo, fino alla deriva terrorista. La violenza integralista del nuovo nazionalismo oggi spiega e muove la violenza degli attacchi del fronte integralista al pontificato di Jorge Mario Bergoglio, una violenza che ha superato il livello di guardia da tempo, ma alcune espressioni usate in occasione della tragica carneficina compiuta dai terroristi nello Sri Lanka ci consentono di capire perché questo scontro riguardi tutti essendo uno scontro globale che coinvolge la stessa tenuta della democrazia.
Con Bergoglio infatti il Vaticano è oggi un argine, forse il principale se non l’unico, a difesa del pluralismo e quindi di un ordine non illiberale. Si tratta di una constatazione oggettiva e che è il prodotto di una storia cominciata con il Concilio Vaticano II. Prima di allora la Chiesa non riconosceva la libertà religiosa e non conosceva i diritti dell’uomo, ma proclamava i diritti di Dio, proprio come ha ripetuto recentemente un porporato per il quale con la legge sul fine vita (mai “inizio viaggio”) si viola la libertà di Dio.
Fu proprio il riconoscimento del principio della libertà religiosa a determinare lo scisma di monsignor Lefebvre al Concilio Vaticano II e poco prima era stato Giovanni XXIII a parlare per la prima volta di diritti umani nell’enciclica “Pacem in Terris”. Da un punto di vista culturale infatti si può dire che il Concilio sia cominciato nel 1959 quando papa Giovanni XXIII decise di eliminare il termine “perfidi” da quella preghiera per gli ebrei che si recitava nelle nostre chiesa dal VI secolo. Diviene così molto importante rileggerla tutta quella preghiera che per tanti secoli i cattolici hanno pronunciato ogni Venerdì Santo, anche nella versione definita non insultante: “Preghiamo anche per gli ebrei che non credono, affinché il Signore e Dio nostro tolga il velo dai loro cuori ed anch’essi (ri)conoscano il Signore nostro Gesù Cristo. Dio onnipotente ed eterno, che non allontani dalla tua misericordia neppure la incredulità degli ebrei, esaudisci le nostre preghiere, che ti presentiamo per l’accecamento di quel popolo, affinché (ri)conosciuta la luce della tua verità, che è Cristo, siano liberati dalle loro tenebre.”
Estirpare quell’idea di accecamento non è stato facile e l’antisemitismo, nel senso storico della parola, è rimasto alla base della visione degli scismatici lefebvriani: uno dei quattro vescovi lefebvriani rilasciò dichiarazioni negazioniste dell’Olocausto proprio quando papa Benedetto XVI tolse loro la scomunica.
Ma la dichiarazione Nostra Aetate segna un cambio d’epoca per la Chiesa non solo perché chiude la lunghissima epoca del pregiudizio antisemita, ma perché proprio facendo questo riconosce la fratellanza con tutti i figli di Dio. Ecco il miracolo della Nostra Aetate, il dialogo con tutte le religioni: “La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini. Tuttavia essa annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è « via, verità e vita » (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose (4). Essa perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi.”
Tutto questo però oggi è messo in discussione da un nuovo nazionalismo che pone a suo fondamento delle religioni secolari. Le religioni secolari sono religioni politiche, che servono a fare della religione il collante politico delle nazioni e dei leader dei capi etnici religiosamente giustificati. E’ un disegno che i terroristi conoscono benissimo e che le loro azioni intendono favorire, sperando per via del meccanismo azione/reazione di conquistare per disperazione il loro campo. Guardiamo un attimo alla vicenda dello Sri Lanka. L’estremismo violento musulmano è emerso dopo l’estremismo cingalese/buddista violento, che ha colpito prioritariamente i musulmani. Pianificando quelle stragi hanno inteso colpire obiettivi facili, che avrebbero dato risalto mondiale alle loro gesta, associare i cristiani dello Sri Lanka ai turisti, cioè gli altri obiettivi degli attentati che oltre alle chiese hanno colpito gli alberghi, associando entrambi all’Occidente. Dunque il terrorismo intende desrilankizzare la comunità cristiana, costituita da tamil, la minoranza etnica, e cingalesi, la maggioranza. Anche in questo si ritrova una consonanza con altri nazionalismi, che vedono i cristiani dello Sri Lanka solo come cristiani, e non come cingalesi e tamil la cui unità statuale si vuole distruggere, quando sono vittime del terrorismo, ma quegli stessi nazionalismi li vedono quei cristiani dello Sri Lanka solo come srilankesi, e non più come cristiani, quando emigrano. E di chi sono vittime queste vittime dei terroristi? Dei musulmani, ovviamente, come se esistesse un’unità politica di tutta la comunità islamica, rappresentata o espressa dai terroristi. Ma scrivere, come troppo spesso accade, di “mondo musulmano”, vuol dire scrivere di qualcosa che non esiste e non è mai esistito. Tutto sommato fu proprio il padre degli integralisti, il famoso Ibn Taimiyya, a emettere tre sentenze religiose per legittimare il combattere contro i mongoli nottante la conversione del loro re e la presenza tra di loro di molti musulmani. Un caso? No, nel continente indiano ricordano bene che il sultano Tipu, al potere nel sultanato del Mysore nell’India meridionale nel 1798, per espellere la British East India Company chiese l’aiuto del sultano ottomano Selim III, in nome della solidarietà musulmana. Ma la risposta della Sublima Porta non fu positiva, e non sorprende, visto che al tempo era alleata di Russia e Gran Bretagna contro Napoleone.
Arriviamo così a capire quale sia la malattia nazionalista: l’unicità. I nazionalismi si ammalano quando inseguono il sogno dell’unicità: una nazione deve avere un’unità etnica, religiosa e politica. Ecco che la religione si secolarizza, diviene cioè uno strumento funzionale all’unicità politica della “nazione”, che quindi cercherà di negare alle altre etnie e agli altri credenti la loro appartenenza nazionale.
Così oggi difendere il pluralismo vuol dire soprattutto difendere la pluralità sociale, in termini religiosi ed etnici. La grande bugia di Ataturk, osannato da tanti per la presunta laicità del suo stato, era proprio questa: la Turchia paese di un popolo solo, i turchi. Mai bugia fu più evidente, fondandosi sul genocidio degli armeni, degli assiri, sull’espulsione di massa dei greci, sulla negazione dei curdi. E quei genocidi furono decisi dai laici Giovani Turchi, non dai musulmani. E le negazioni turche non sono finite qui, perché gli aleviti, numerosissima minoranza islamica ma non sunnita, avrebbe rotto l’unità confessionale.
Questa prospettiva nazionalista oggi si sostanzia nel discorso populista, che riconosce al popolo una sola voce, quella del leader. E’ il leader che esprime le idee del popolo, e l’unicità del popolo è garantita dall’unicità del capo. L’ambiguità del termine “populista” sta qui: le mille voci che si uniscono in un popolo, fatto da persone che hanno diverse idee e diverse culture, diverse fedi e diverse origine etniche, sparisce nell’assunto populista che vuole il popolo rappresentato da un solo leader.
E’ qui la sfida antidemocratica del nazionalismo malato di oggi, che usa la religione per farci sentire parte di un “noi” contro “loro”, una visione che il Vaticano di Papa Francesco respinge nel nome di un’altra principio, indiscutibile, quello della fratellanza umana. I fondamentalisti infatti ritengono di essere più bravi di Dio, che ci ha fatto diversi, mentre loro pretendono di unirci nel nome del leader, non certo del popolo, e questo si può fare solo avendo un nemico.
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