Silvia è una donna di Roma che ha scoperto di essere incinta, ma dopo un controllo, purtroppo, scopre di aver avuto un aborto spontaneo, risalente alla settimana precedente. In questi casi si procede con il ‘raschiamento’, ossia la rimozione del feto dall’utero della donna. Si tratta di una procedura invasiva ma necessaria, dato che bisogna tenere conto non solo della presenza di un corpo estraneo all’interno dell’utero, ma anche delle possibilmente difficili condizioni psicologiche della donna.
Ebbene, Silvia il raschiamento non è ancora riuscito a ottenerlo, perché gli unici giorni in cui l’ospedale San Camillo di Roma compie la procedura sono lunedì e giovedì, quest’anno rispettivamente Pasquetta e 25 aprile. Dopo quindi quasi tre settimane, Silvia non ha ancora avuto accesso alla procedura.
“Esprimiamo sdegno e rabbia – dichiara Francesco Iacovone, del Cobas nazionale – mentre i dibattiti TV ci distraggono convincendoci della necessità di lavorare la domenica e i festivi, la sanità è allo sfascio e per un raschiamento si aspetta la fine del ponte Pasquale”. “Ho sentito Silvia in queste ore – prosegue il rappresentante sindacale – e ho percepito quanto il suo stato emotivo sia messo a dura prova. Quanto accaduto non è certo da Paese civile”. E quindi “mentre il commercio e la logistica funzionano h24 sette giorni a settimana, la sanità viene progressivamente smantellata a danno di tutti i cittadini, l’attenzione viene spostata sul falso diritto al consumo. Al centro del dibattito di questo Paese deve essere rimessa l’efficienza e la stringente necessità di servizi pubblici essenziali, ormai destrutturati un governo dopo l’altro”, continua Iacovone.
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