Il marito della donna uccisa da Marco Paolini: "Ci chiede il perdono sulla stampa, avremmo preferito il silenzio"
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Il marito della donna uccisa da Marco Paolini: "Ci chiede il perdono sulla stampa, avremmo preferito il silenzio"

"Avrei preferito il silenzio, se Paolini si sente in grado di andare avanti lo doveva fare senza farsi intervistare. Avrei preferito che prima chiarisse con noi, che parlasse a noi"

Marco Paolini
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23 Giugno 2019 - 15.37


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“Mi sono sforzato di leggere l’intervista di Marco Paolini, ma da undici mesi a questa parte faccio fatica ad aprire i giornali perché mi vengono in mente le foto dell’incidente e penso a quanto ha sofferto Alessandra. La considero un’intervista riabilitativa, l’attore è lui, noi siamo solo vittime, mia moglie in primis”.

A parlare è Massimo Meloggiaro, il marito di Alessandra Lighezzolo, la donna morta al seguito di un’incidente sulla A4, vicino Verona. Era il 17 luglio 2018 e la macchina su cui viaggiava la donna con un’amica è stata urtata dalla station wagon guidato dall’attore teatrale: l’urto ha fatto volare l’utilitaria oltre il guardrail e Lighezzolo è morta poco dopo. 

Il signor Meloggiaro parla al Corriere del Veneto delle sensazioni che ha avuto mentre leggeva l’intervista di Paolini.

“Avrei preferito il silenzio, se Paolini si sente in grado di andare avanti lo doveva fare senza farsi intervistare. Avrei preferito che prima chiarisse con noi, che parlasse a noi”.

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Un incontro tra l’attore e la famiglia non c’è mai stato: “No, lui non era in tribunale a Verona a maggio per il patteggiamento, a meno che non si fosse nascosto io e i miei figli non lo abbiamo visto. Poteva essere un’occasione per vedersi, accennando a un incontro. A margine dell’udienza ho chiesto al suo avvocato di fargli avere la foto di Alessandra”.

Paolini però ha scritto delle lettere, a cui non ha mai avuto risposta: “Sì, è vero, una a distanza di qualche giorno dalla morte di mia moglie, una dopo la chiusura del processo. Scrive che ‘non è la fine di questa storia’ e che spera di incontrarci. Vedersi è una possibilità che non escludo, ma saremo io e i miei figli a decidere dove, quando e come. Ad oggi non lo riteniamo opportuno. Certo, il 2 maggio, pochi giorni prima della sentenza, era sul palco del Comunale di Vicenza e visto che era a pochi chilometri da noi avrebbe potuto…”.

Si sarebbe però aspettato un contatto diretto:“Ce lo saremmo aspettato sì, un contatto.. E allora forse lo avrei accompagnato in cimitero dove ci sono le ceneri di Alessandra, ma non solo. Certo ho trovato di cattivo gusto che sia venuto a Vicenza, così come che ad appena tre giorni dal funerale di Alessandra si sia esibito, infrangendo già dall’inizio un silenzio che sarebbe invece stato dovuto a mio avviso”.

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Il 17 luglio sarà passato un anno dall’incidente: “Sto vivendo per inerzia, anche se è brutto da dire, quell’incidente ha distrutto tutto per me e i miei figli. È un anno in cui io sono rimasto al punto che ho lasciato. Con guanti e borse di Alessandra ancora nella sua auto, creme e libri per casa che mi fanno pensare che possa ancora tornare dal negozio, quel negozio che era stato rimesso a nuovo da solo 48 ore quando c’è stato l’incidente. Eravamo molto uniti da una vita, trent’anni, ventisei di matrimonio. Dio sa quanto vorrei averla qui…”.

La famiglia non è soddisfatta dalla pena inflitta a Paolini:

“Sì, un anno con il beneficio della pena sospesa ma il senso di giustizia è limitato per noi, pur sapendo che queste sono le pene previste dal codice penale in caso di omicidio stradale”.

Né pensano di perdonarlo:

“No, non ora, ci ha tolto tutto, ma non escludo che col tempo potrei riuscire a perdonarlo”.

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I figli invece sono perentori:

“Perdonarlo? Non se ne parla, non sappiamo nemmeno se avremmo voglia di incontrarlo. Ci ha tolto mamma, la donna della nostra vita, non è più niente come prima ora. Bisogna viverla sulla propria pelle per capire”.

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