“Questa scuola avrebbe accolto lui e le altre persone che annegano cercando di attraversare il mare”. Non poteva essere scelta una frase più bella da incidere sulla pietra di inciampo. Ed è emozionante l’idea della pietra di inciampo, fino ad oggi pensata per le vittime della deportazione nazifascista e dell’Olocausto, ed ora voluta per rendere omaggio ad uno di loro, uno dei tanti, dei troppi annegati nel Mediterraneo nel tentativo, umano e disperato, di trovare un posto nel mondo che non fosse la piaga quotidiana della fame, della violenza o della guerra.
Pietre d’inciampo da un Olocausto all’altro.
E bambini e insegnanti della scuola elementare romana “Carlo Pisacane” dei tanti morti in mare hanno scelto un ragazzo, quel ragazzo del Mali che morì annegato un giorno di metà aprile di quattro anni fa con la pagella cucita sul cuore.
Una scelta che ti regala salutari brividi alla schiena. Quel ragazzo, quella pagella cucita addosso per presentarsi bravo e volenteroso a questo nostro mondo qualora ce l’avesse fatto, è diventato un pensiero fisso nella vita di molti di noi, un monito, un codice, un testo sacro da “rileggere” quando pensiamo che le nostre difficoltà sono gravi ed invece suonano solo un’offesa a quel piccolo grande sogno inghiottito dalle onde.
La scuola “Pisacane” è al quartiere Torpignattara di Roma, quartiere simbolo di quella integrazione che avvoltoi del nostro tempo vorrebbero impossibile. Neri avvoltoi, ombre pesanti e minacciose sulle vite semplici e travagliate, dove anche la solidarietà – perchè non dirlo – diventa difficile. Volteggiano sulle difficoltà, sul disagio, sull’abbandono, sulle povertà vecchie e nuove, sperando di sradicare valori antichi inconciliabili con l’odio. Torpignattara è un quartiere che ha saputo costruirsi come modello di integrazione. Non un quartiere difficile, a pensarci non ci sono quartieri difficili. Li etichettiamo così per assolverci, persone, forze politiche, istituzioni. Torpignattara, dunque. Qui i bambini hanno tutti i colori del mondo, testimoniano e danno nuova vita ad un’anima popolare, romana, che ha avuto straordinarie manifestazioni.
Una pietra di inciampo, allora, per invitare noi ad inciampare. Un invito ai nostri occhi, alle nostre coscienze. Che inciampino, che siano costretti a fermarsi, a pensare, ripensare, valutare, soppesare i nostri comportamenti, il nostro impegno, il colpevole disimpegno, le distrazioni, le assuefazioni. Il tempo oggi è quello di indignarsi e di impegnarsi.
E la pietra di inciampo pensata e piantata dai piccoli del Pisacane vale più di un anno intero di scuola, costretti come siamo ora, piccoli e grandi, a dover ricostruire tanto di noi ferito e offeso.
Prima di sapere del gesto dei bambini e degli insegnati del “Pisacane” ero intento a pensare due cose che il messaggio di Torpignattara mi conferma come giusti pensieri. Tornando alla straordinaria manifestazione delle Sardine a San Giovanni, il primo pensiero che mi sentirei di confidare loro è quello di riversarsi nelle nostre periferie, spazi umani che non possono essere lasciati in balìa delle ombre nere degli avvoltoi. Entrarci, andarci incontro, farsi risucchiare, farsi sentire presenti, al fianco, condividere. Un pò quello che fecero gli Indignados in Spagna. Secondo pensiero, e qui faccio anche una autocritica, smettere di cercare e raccontare i fiori del male e dell’odio ampliandone la volontà avvelenatrice. Più che i fiori del male e dell’odio il nostro deve cominciare ad essere il racconto benefico e contagioso di tanti piccoli gesti, come quello di Torpignattara. Gesti di resistenza e di ricostruzione, come quel piccolo mattoncino di Torpignattara.