Due diversi quadri, due scene opposte che hanno in comune l’Italia. Come le due facce di una moneta caduta nel letame: quella con la faccia nello sterco risulta laida, quella rimasta a guardare il sole, salva, e nonostante tutto continua a splendere.
Dei giorni del confronto elettorale ho conservato, e qui rileggo, due fatti che mi sono apparsi, appunto, le due facce di una medaglia, di una moneta italiana.
Dei due brevi racconti, delle due situazioni passate in tv, comincerei con quello che mi è apparso come una rovinosa caduta nel letame, nell’orrido, dove l’orrido è un inquietante coacervo di bruttezze, anche criminali. Col secondo ci rifaremo la bocca e conforteremo il cuore.
Primo quadro. Siamo in Calabria, ultimi giorni prima del voto. Fotografi e tv immortalano un sindaco che svende la sua fascia tricolore al servilismo più volgare. Si china e bacia le mani a Silvio Berlusconi, da queste parti per sostenere la candidata del centro destra. Per questo gesto, un “baciamo le mani” proprio della simbologia mafiosa, personalmente ritengo ci siano gli estremi per destituirlo il sindaco. Perché il baciamano di chi rappresenta una istituzione democratica, fatto in maniera eclatante nel corso di un confronto elettorale, e nella terra della più potente e arcaica mafia, fanno del gesto di Vincenzo Bartone, sindaco di Soriano, un messaggio pericoloso, un attacco ai valori costituzionali. È atto eversivo e “terroristico”. Eppure, il gesto non mi pare abbia scandalizzato più di tanto, non mi pare abbia sconvolto quanto avrebbe dovuto. Solo un passaggio in cronaca, forse con una sconcertante monetizzazione elettorale.
Questa la storia orribile, che ritengo meriti un approfondimento di chi in Italia deve tutelare l’onore delle istituzioni democratiche e di chi, in quella regione, combatte la mafia e difende il difficile convivere civile dal potere della ‘ndrangheta.
Nell’attesa, andiamo alla bella storia, alla faccia dorata della moneta.
Siamo a Trieste. Qui da anni opera “Linea d’ombra”, esperienza nata da due professionisti triestini, Gian Andrea Franchi e la moglie, Lorena, capelli chiari, occhi come il cielo e un sorriso che tradisce una bontà sconfinata, senza confini. La loro esperienza è poco conosciuta, non nuova. Gian Andrea e Lorena curano i piedi martoriati dei profughi che percorrono a piedi la rotta balcanica sperando di entrare in Italia per poi proseguire verso la Francia e altri Paesi europei. Gian Andrea e Lorena da tempo ormai non sono soli, li aiutano decine di volontari. Tre volte a settimana si ritrovano in piazza Libertà e curano i piedi di chi, scarpe rotte, ferite e piaghe nelle gambe, ha tanto camminato e in condizioni anche estreme. Lorena arriva in piazza col suo carrello pieno di bende, cerotti, disinfettanti e medicine per il pronto soccorso, per i casi più gravi si prova con le cure ospedaliere. Ma c’è chi preferisce curarsi solo alla meno peggio e continuare, senza passare dall’accettazione di un ospedale.Per paura dei respingimenti.
Gian Andrea e Lorena una volta al mese vanno anche in Bosnia, a portare aiuto a chi deve fare i conti con la polizia croata. Portano abiti e scarpe, e tutto quello che occorre a chi ha fatto del viaggio il cammino della speranza, stringendo i denti contro frontiere e ancora frontiere, come quella – spesso violenta – alzata dalla polizia croata. Gian Andrea e Lorena ne hanno visto e vissute tante: dal ragazzo che ha perso l’uso delle gambe e poi la vita, alle famiglie afghane con bambini piccolissimi, a tanti e tanti giovani con il sogno comune di una vita diversa, lontana da morte e fame. “Il nostro non è semplice volontariato – dice Gian Andrea con un occhio al clima che si respira nel Paese – il nostro impegno è anche una risposta poltica di segno opposto a quella “salviniana”.
Prima o dopo le elezioni di Emilia Romagna e Calabria, per Lorenna e Gian Andrea e per le decine di volontari che hanno raccolto strada facendo, in questi anni, l’impegno resta quello di piazza Libertà tre volte a settimana e la Bosnia ogni trenta, quaranta giorni. Resistenza e altra politica insieme.
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