Dire "Salvini in galera" non è un reato: la decisione della giudice che assolve un ex consigliere Pd
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Dire "Salvini in galera" non è un reato: la decisione della giudice che assolve un ex consigliere Pd

Nel marzo 2015 Paolo Mirandola, ex consigliere comunale Pd di Rovereto, aveva esclamato "Salvini in galera" durante una seduta. Salvini lo aveva querelato

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27 Febbraio 2020 - 16.43


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Dire “Salvini in galera” non è diffamazione, ma critica politica: così ha deciso la giudice di pace di Rovereto, Paola Facchini, che ha assolto l’ex consigliere comunale del Pd Paolo Mirandola che nel 3 marzo 2015, durante una seduta particolarmente accesa proprio a Rovereto, aveva detto: “Qui il collega Angeli ha indossato la maglietta “Renzi a casa”. Io su questa cravatta, non si vede, ma ho scritto “Salvini in galera!”. Salvini un mascalzone, un delinquente abituale per tendenza, inserito naturalmente in un discorso politico, ha radunato in piazza del Popolo il peggio del Paese, i fascisti, le Casa Pound. Io dico che è la feccia del Paese e quindi concludo dicendo: Salvini in galera!”
Mirandola venne querelato da Salvini, che chiedeva per sé un risarcimento di 30mila euro e per la Lega 50mila. Il pm aveva inoltre chiesto 300 euro di multa a Mirandola. I suoi difensori, Gianni Lanzinger e Mauro Bondi, avevano chiesto l’assoluzione, poiché l’imputato aveva reagito “ad una gravissima provocazione dei principi costituzionali manifestati nelle iniziative di Salvini a Roma nel raduno del 28 febbraio e per avere esercitato un diritto di critica e di manifestazione del pensiero garantito dall’articolo 21 della Costituzione”.
Motivando la sentenza, la giudice scrive: “Appare evidente che la critica si pone non sul piano prettamente personale, ma sul piano politico. Quello che viene criticato all’esponente dell’opposizione è il fatto di avere radunato non solo i militanti della Lega, ma anche gruppi neofascisti come CasaPound e altre associazioni estremiste di destra provenienti da altri paesi europei. Ne consegue che la questione trattata, essendo di interesse pubblico, può escludere la rilevanza penale dell’offesa, in quanto il fatto contestato al destinatario dell’invettiva acquista rilevanza pubblica e si basa su un nucleo fattuale che ha connotati sufficienti per poter trarre un giudizio di valore. Su questo punto la giurisprudenza della Corte di Cassazione è costante nell’evidenziare che la critica politica è meno obiettiva del diritto di cronaca in generale”.
“La critica politica è infatti manifestazione di opinione meramente soggettiva, ha carattere congetturale e non può, per definizione, pretendersi obiettiva e asettica. E in più Mirandola ha usato il sarcasmo, premettendo che stava facendo un discorso politico. “Ne consegue – conclude il giudice – che le espressioni usate dall’imputato, seppure forti e pungenti, attengono all’esercizio di critica politica”. Il fatto non costituisce reato.

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