Gli agenti di viaggio sono ancora in prima linea, nei giorni del virus. Sono d’altronde abituati a gestire i piccoli aspetti delle grandi crisi internazionali, Hanno affrontato la prima guerra del golfo, che scatenò un’ondata di panico tale da indurre le persone a non muoversi dalle città di appartenenza, hanno assistito da lontano clienti dispersi e angosciati nella New York dell’11 settembre 2001 hanno fatto i conti con guerre, con il terrorismo, gli tsunami, perfino con l’eruzione di un oscuro vulcano islandese che offuscò i cieli di tutto il mondo, impedendo il regolare traffico aereo.
Gli agenti di viaggio sono realisti ma, nonostante tutto, ottimisti. Sono resilienti, abituati alla tempesta e al sereno che la segue. In qualsiasi modo votino, sono sempre, per un normale e legittimo interesse, pacifisti, non razzisti, aperti al mondo.
Detestano la burocrazia e le barriere. Hanno anche resistito, alla brava, alla concorrenza di Internet. Parlare di corona virus con questa gente adusa ai guai è quindi del tutto normale. Marco Peci è il Direttore Commerciale di Quality Group, un Tour Operator Torinese che programma viaggi in tutto il globo. È anche delegato alla comunicazione per l’Astoi, l’associazione di settore.
Dottor Peci, le voci che arrivano dalle agenzie di viaggio parlano di una situazione peggiore dell’11 settembre 2001, quando il turismo internazionale si bloccò, completamente, per più di tre mesi.
“ C’è del vero, ma vanno fatte le dovute distinzioni. Allora la causa del blocco era chiara, perfettamente definita, localizzata, univoca. Le persone non gradivano viaggiare in quel clima tanto incerto e restarono alla finestra, annullando molti dei viaggi già programmati e sospendendo ogni progetto di vacanza. Oggi abbiamo un fenomeno nuovo, mai verificato prima: ci sono paesi che non vogliono i turisti italiani. Ci sono anche albergatori italiani che rifiutano singoli e gruppi provenienti dal Nord. Siamo fra due fuochi. Nell’autunno del 2001 le agenzie di viaggio erano deserte. Oggi le colleghe e i colleghi si affannano a studiare, sul sito della Farnesina, quali sono i paesi sicuri e le ultime disposizioni delle varie autorità per trovare una risposta da dare alle legittime ansie dei clienti. La paura più grande è l’idea di intraprendere un viaggio con la prospettiva di essere respinto in aeroporto o messo in quarantena in un posto lontano da casa; un evento inverosimile, anche se quello che è successo a Mauritius è emblematico, per quanto eccezionale ed estemporaneo. Siamo in trincea per tutelare i diritti e i doveri di tutti gli attori del nostro settore.”.
Come vede il futuro?
“ La situazione, a oggi, è seria. Si può tranquillamente parlare di un calo del sessanta /settanta per cento del volume d’affari. Il nostro è un settore economicamente debole, parcellizzato che spesso conta sulla cassa per gestire l’attività. Reggono quelli che hanno le spalle forti, riserve e liquidità importanti, non sono una questione di dimensioni aziendali ma di struttura delle imprese di questo comparto produttivo. In ogni caso non tutto è fermo, Dal mio punto di vista di Tour Operator, noto che la preventivazione per le agenzie (Il tour operator è una sorta di grossista, nda) continua, anche se con volumi ridotti. La voglia di viaggiare non è finita con il virus. Passerà anche questa crisi. Violenta e inedita. Non siamo davanti alla peste. Le cose torneranno alla normalità. Dovremo forse aspettare che il virus faccia il suo corso anche in altri paesi, al momento solo sfiorati dall’emergenza.
Si è dibattuto molto sulle misure adottate dall’Italia contro il contagio, a partire dal blocco dei voli con la Cina. Qual è il suo punto di vista?
Non ho conoscenze sufficienti per discettare sui provvedimenti recenti. Solo un esperto della materia, un medico, un virologo, può giudicare. Devo però dire che il blocco del traffico aereo italo cinese mi è sembrata, e così l’ha giudicata il mio settore, una reazione muscolare, non meditata e alla lunga, più dannosa che inutile. Oltre ad apparire “sgarbati” agli occhi del Governo cinese, ci siamo preclusi la possibilità di controllare il traffico diretto, ma non abbiamo potuto impedire quello indiretto. La maggior parte del traffico da e per la Cina passa attraverso i grandi hub mediorientali ed europei e in questi non sono state prese misure significative. Certo gli scanner termici qualche risultato lo avranno avuto, ed è stato bene utilizzarli, ma hanno intercettato probabilmente solo una parte dei casi di contagio. Gli aeroporti di Londra, Francoforte, Amsterdam, sono vere e proprie città attraversate ogni giorno da migliaia e migliaia di persone. Era impossibile, semplicemente, fermare il virus. Medici, addetti al turismo, operatori economici sapevano che si sarebbe propagato. Altri paesi hanno scelto un approccio pragmatico aspettando che si manifestasse l’emergenza. Noi abbiamo voluto prendere qualche misura spettacolare. Non era facile scegliere, certamente. In ogni caso Covid 19 sta già arrivando in altri paesi. D’altronde, come pensare che Vo’ Euganeo sia una località più esposta al contagio di Francoforte, Berlino o Parigi?
Lei conosce molto bene la Cina. Pensa che la situazione stia veramente migliorando?
Sì, me lo confermano anche i miei amici cinesi. Va detto che una parte dello spavento globale è stato anche dovuto alla reazione dell’ex Celeste Impero all’emergenza. Tutti noi ci siamo convinti che, date le misure drastiche che hanno adottato, ci fosse veramente una catastrofe sanitaria alle porte. Il problema del Covid19 era serio, non voglio sminuirlo, ma è chiaro che per noi occidentali quel procedere in maniera tanto dura e determinata è un po’ inusuale. Noi siamo abituati a discutere e ridiscutere tutto. Nella cultura cinese lo Stato, confucianamente, è il buon padre di famiglia. Decide quello che è migliore e tutti lo seguono. Se lo stato dice che è necessario costruire un ospedale in dieci giorni, si tira su, senza mediazioni. Questa vicenda rivela quanto diverse siano le culture del mondo e che bisogna viaggiare per capirle.”.
Argomenti: covid-19