La scuola avrebbe dovuto riaprire ieri, mercoledì 4 marzo, dopo un primo rinvio che aveva prolungato le vacanze di carnevale.
Per un insegnante di Liceo le vacanze sono delle oasi nella traversata del deserto dell’anno scolastico, Natale, Carnevale, Pasqua e poi arriva l’estate, quella lunga distesa di palmizi e laghetti nella quale lavare le fatiche della routine, per potersi ripresentare agli studenti con il volto della novità e dell’entusiasmo.
Anche quest’anno era andata così. Le vacanze di Carnevale si erano abbattute sulla Metafisica di Aristotele e per qualche giorno nessuno si sarebbe occupato di sillogismi e di motori immobili, perché era molto più urgente scegliere il travestimento per le notti del grande Carnevale di Ivrea che stava premendo con tutta la sua forza attrattiva. Dopo ci sarebbe stato il ritorno a scuola. Dopo. Adesso era il tempo della festa e del divertimento. In fondo vivere è adattarsi a un ritmo, mettersi in sintonia e fare le cose nei modi e nei tempi giusti, in un’alternanza che sa di equilibrio.
Poi è arrivato il virus e ci siamo scoperti senza il confortevole andirivieni delle cose da fare. All’inizio tutti, studenti e insegnanti non ci siamo dispiaciuti per l’allungamento della vacanza. Qualche giorno in più lontani dalla scuola non era così spiacevole. E in fondo si trattava di un’influenza, sulla quale qualcuno stava montando un caso. Ma è davvero soltanto un’influenza?
Oggi abbiamo scoperto che non ci saranno lezioni, né studenti per altre settimane e nel Collegio Docenti ci guardavamo come dentro una nebbia. Improvvisamente tutta la liturgia del sistema educativo si era dissolta in una sospensione che disorienta. Che cosa sarebbe la scuola senza la forza vitale degli studenti? Qualcuno propone forme anestetiche di comunicazione, lezioni a distanza, forum digitali, lezioni virtuali, ma niente di tutto questo può colmare il vuoto che si è creato. Il virus ha infettato la fiducia nella relazione e senza relazione non c’è educazione e neppure cultura e formazione. Stiamo sospesi nella nostra inutile funzione docente, in attesa.
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