lunedì 16 marzo. 12° giorno
Il mio articolo di venerdì scorso sulla didattica a distanza ha suscitato reazioni opposte. Qualcuno si è sentito offeso, perché ha ritenuto che non fosse stato tenuto nella giusta considerazione il lavoro dei molti insegnanti che stanno attivando forme di didattica a distanza; altri hanno apprezzato le mie riserve non perché non siano interessati alla sorte dei loro studenti, ma perché si sono sentiti sollevati dall’ansia di dover essere presenti in maniera assidua, in una situazione che non è quella ordinaria.
Se volessi trovare una morale positiva dovrei concludere che l’articolo è stato letto e questo è in fondo lo scopo di chi scrive, cioè creare discussione, provocare reazioni e aprire scenari di dialogo.
Mi permetto però di precisare il punto cruciale intorno al quale ruota la questione che ho sollevato. La situazione che stiamo vivendo, studenti e insegnanti, adulti e giovani, è una vera emergenza, qualcosa che è affiorato, emerso in maniera imprevista e devastante, di fronte alla quale le contromisure non sono affatto scontate. In altre parole la nostra intera esistenza è diventata un’emergenza, e non è proprio possibile fare finta che non stia succedendo nulla e che tutto sia normale.
Di fronte a un’emergenza di questa portata la scuola ha il dovere di interrogarsi radicalmente sul suo significato e sulla sua funzione essenziale.
La scuola è parte di un mondo, è in un mondo, non è un mondo separato, impermeabile e indifferente, e non possiamo ignorare che il mondo intorno a noi stia conoscendo una delle crisi più terribili degli ultimi decenni. La scuola non può ignorare la paura che ci sta assediando, la sofferenza dei malati e l’angoscia di chi teme di essere contagiato: in questo quadro è impossibile pensare di fare le cose che facevamo prima, anche se può essere molto tranquillizzante. La scuola deve cambiare il proprio focus e adattarsi al tempo della precarietà per comprenderlo e in questo modo può essere importante e di aiuto per gli studenti.
Quando dicevo di lasciare in pace i ragazzi intendevo che bisogna guardare il volto del Male e del dolore, accettando che in situazioni di emergenza ogni regola va ripensata e piegata alle esigenze della nostra fragilità comune
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