Il grido di dolore dei medici di Bergamo: "Ormai curiamo solo chi ha più probabilità di guarire"
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Il grido di dolore dei medici di Bergamo: "Ormai curiamo solo chi ha più probabilità di guarire"

Lettera-denuncia pubblicata sul New England Journal of Medicine.

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25 Marzo 2020 - 11.59


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“È un grido di allarme struggente e un atto di accusa durissimo. Qui siamo in quarantena dal 10 marzo”.  Lo racconta sull’Agi.it Veronique Virgilio. Così esordiscono 13 medici dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo in una lettera-denuncia pubblicata sul New England Journal of Medicine. La loro missiva è una testimonianza diretta di una situazione sanitaria allo stremo e di una gestione errata dell’intera emergenza coronavirus sia a Bergamo, epicentro della pandemia in Italia, che nell’intera Lombardia.

I 13 firmatari in prima linea nel far fronte all’epidemia, che analizzano anche altri dati provenienti dagli ospedali circostanti, dimostrano che le strategie attuali non possono funzionare e che la situazione sul terreno è “catastrofica”.

Guardando alla pandemia globale, definiscono il coronavirus “l’Ebola dei ricchi” che richiede “uno sforzo transnazionale coordinato”. Se le misure di contenimento attuate per frenare il contagio – tra cui il distanziamento sociale – sono importanti, i numeri dicono che non bastano.

Partendo dall’Ospedale Giovanni XXIII – struttura all’avanguardia dotata di 48 posti di terapia intensiva – riferiscono che la struttura è “altamente contaminata e siamo già oltre il punto di collasso con 300 letti su 900 occupati da pazienti Covid-19. Il 70% dei letti di terapia intensiva nel nostro ospedale è riservato a pazienti affetti da Covid-19 in condizioni critiche che hanno ragionevoli possibilità di sopravvivere”. Sul piano operativo, il personale medico-sanitario si trova a lavorare “al di sotto dei nostri standard di cura e i tempi di attesa per un posto in terapia intensiva durano ore”.

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Drammatiche le parole dei medici sulle condizioni dei pazienti più anziani che “non vengono rianimanti e muoiono in solitudine, senza neanche il conforto delle cure palliative” mentre le loro famiglie vengono informate telefonicamente. Alla luce di queste criticità, gli autori della lettera chiedono con urgenza un cambio di paradigma per far fronte alla pandemia: il passaggio da un’assistenza sanitaria centrata sul singolo paziente – chiaramente inadeguata – ad una centrata sulla comunità. Ovvero soluzioni al Covid-19 destinate all’intera popolazione e non solo agli ospedali.

Fanno riferimento alla situazione di Brescia e delle zone circostanti, carenti di respiratori e farmaci, ma anche di “esperti in sanità pubblica ed epidemie”, figure competenti cruciali in questo genere di crisi. “È un problema di cui ci eravamo occupati già, in tempi non sospetti”, sottolineano i firmatari dell’appello, che tornano a denunciare il fatto che “le strutture ospedaliere siano esse stesse i principali vettori del Covid-19. Un problema già noto in tempi normali, ma che in piena pandemia si aggrava”.

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Per questo motivo – continuano – la protezione dei medici “dovrebbe essere prioritaria”. Tra le soluzioni suggerite dai medici del Giovanni XXIII per alleggerire il carico degli ospedali, il potenziamento delle cure a domicilio e le cliniche mobili, per limitare gli spostamenti inutili.

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