Le preoccupazioni dei miei studenti non si fermano al presente, al contagio della paura, ma molti di loro lasciano trapelare inquietudini sul futuro, sulle prospettive del dopo virus, sul mondo che ritroveremo dopo averlo perduto.
Le preoccupazioni non sono soltanto per l’economia, per i danni che l’emergenza sanitaria sta creando al sistema Italia, che non stava attraversando un periodo particolarmente brillante.
Povera generazione!
Non bastava la crisi interminabile che nessun governo è riuscito a risolvere, non bastavano le ansie per il dissesto climatico con le prospettive apocalittiche di un collasso ambientale, non bastava la paura del terrorismo islamico, dei migranti che ci rubano il lavoro e forse persino l’aria che respiriamo, ecco che è comparsa la pandemia, che rischia di compromettere il futuro per intere generazioni.
Ma non è di questo che mi hanno scritto i ragazzi. Quella normalità che adesso appare così lontana, la routine dello studio, dello sport, degli amici, degli amori è solo sospesa? Sarà sufficiente seppellire i morti, dimettere i malati dagli ospedali, riaprire i negozi, gli stadi, le strade per ritrovare quel tempo perduto? Alla fine dei loro brevi scritti i ragazzi parlano di abbracci, di strette di mano, di baci, di tutte quei riti che rendono calda la relazione umana, ma molti di loro si chiedono se riusciremo a ritrovare quell’universo di calore e di vicinanza che oggi appare così complicato.
Oggi viviamo nell’inverno dei cuori, occorre ricordarlo, in una contingenza dominata dai media freddi, quali il telefono e la televisione, di cui tablet e personal computer sono le significative evoluzioni; se è vero che schermi e telefoni richiedono una maggiore partecipazione e quindi secondo McLuhan implicano un maggiore coinvolgimento, è altrettanto certo che il calore di quell’incontro non è con la persona reale, ma con una voce, un’immagine bidimensionale. Se il nostro esilio durerà a lungo il ritorno alla realtà sarà molto più difficile, perché dovremo risalire da nostro mondo virtuale nel quale ci siamo rifugiati, e bisognerà recuperare il corpo, il nostro e quello degli altri, che oggi appaiono come un’ombra, un semplice fantasma.
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