In questi giorni si parla molto di smart working, il lavoro agile o intelligente, nuova e ulteriore evoluzione del modo con cui gli esseri umani dovrebbero svolgere le proprie attività in un prossimo futuro. A favore di questo nuova modalità sono stati utilizzati svariati argomenti, come il superamento del tradizionale orario di lavoro, una maggiore flessibilità nell’uso del tempo e infine la possibilità di svolgere le stesse operazioni senza muoversi da casa, evitando di produrre maggiore inquinamento e di congestionare le città. Il vantaggio più rilevante dovrebbe essere però la possibilità di gestire il proprio impegno, distribuendolo in maniera più libera, dal momento che non ci sarebbe più la schiavitù di un orario rigido che regoli l’inizio e la conclusione della giornata lavorativa.
La diffusione del virus ha naturalmente imposto l’estensione dello smart working, che è stato introdotto in misura massiccia anche nella scuola, con la cosiddetta didattica a distanza. Ebbene se si deve formulare un primo provvisorio bilancio su questa svolta epocale posso dire che lo stress, la quantità di tempo e l’impegno che viene richiesto non è per nulla inferiore rispetto alla scuola tradizionale, ma ho il sospetto che proprio a causa della mancanza di orari troppo definiti la mobilitazione dell’impegno sia molto più invasiva e si finisca per lavorare in maniera ancora più estesa, con un sostanzioso aggravio di fatica e una drastica diminuzione del tempo non destinato al lavoro.
Se lo smart working avrebbe dovuto liberarci dalla schiavitù del lavoro e restituirci più tempo per la vita, sono costretto a riconoscere che il sogno di Marcuse, di una tecnologia che ci permetterà di emanciparci dal lavoro, appare ancora molto lontano dal realizzarsi, mentre al momento intravedo, al contrario, una intensificazione del controllo sul nostro tempo di insegnanti, sempre più on line, 24 ore su 24.
Lo smart working potrebbe liberarci dalla schiavitù? Ho seri dubbi
A favore di questo modalità sono stati utilizzati argomenti, come il superamento del tradizionale orario di lavoro, una maggiore flessibilità nell’uso del tempo. La mia esperienza mi lascia dubbioso
Antonio Rinaldis Modifica articolo
2 Aprile 2020 - 16.39
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