Siamo circondati da eroi, angeli, soldati, caduti; siamo in guerra, sotto attacco, bisogna resistere, chiudersi, barricarsi in casa, il nemico è invisibile, e non è stato sconfitto. Dai vertici, fino agli strati più bassi della popolazione, il linguaggio bellico ha sostituito il freddo gergo scientifico, e sembra l’unico in grado di tenere coesa la nazione, con uno spirito di patria che indubbiamente non sapevamo di avere.
Scriveva Bertolt Brecht, “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”, mentre il medico protagonista della Peste dichiara di non essere un eroe, ma semplicemente un uomo che fa il suo mestiere, che è combattere la diffusione della malattia.
Non abbiamo nulla contro l’eroismo e non vogliamo togliere valore a tutti quelli che stanno lavorando per porre fine a questa brutta storia, ma non ci piace definire eroi persone che stanno offrendo la loro professionalità in un momento difficile.
All’esaltazione retorica preferiamo la composta serietà del medico di Camus che si limita a fare ciò che si deve, togliendo il carattere dell’eccezionalità al suo lavoro, che è quello di curare e salvare la vita.
In fondo è ciò che ci aspettiamo dai medici e dalla medicina.
Forse l’unico eroismo del personale medico e paramedico si riduce alla capacità, davvero straordinaria, di lottare contro il Covid-19, con le armi spuntate di una sanità pubblica che negli ultimi decenni, a causa delle dissennate politiche di austerità e di privatizzazione forzata, è stata fortemente indebolita, trovandosi impreparata di fronte all’attuale emergenza.
Ma in tempo di guerra non c’è spazio per la critica, e l’eroismo diventa l’acqua santa che lava via tutti i peccati della politica.
Argomenti: covid-19