Sarebbe così difficile istituire un servizio dedicato per i tamponi ai positivi dei test?
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Sarebbe così difficile istituire un servizio dedicato per i tamponi ai positivi dei test?

La famosa curva sembra in rapida discesa. Le terapie intensive e i reparti Covid si stanno lentamente svuotando. Ma tanti problemi restano. Dalla favola delle tre T ai test

Test sierologici
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Claudio Visani Modifica articolo

25 Maggio 2020 - 14.17


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Va meglio, per fortuna. I decessi sono diminuiti di molto. La famosa curva sembra in rapida discesa. Le terapie intensive e i reparti Covid si stanno lentamente svuotando. I nuovi contagi, almeno quelli ufficiali, sono in calo costante da diversi giorni, in alcune regioni prossimi o già allo zero. La riapertura, nonostante certe immagini poco rassicuranti di movide vecchia maniera, piazze e spiagge affollate, assembramenti vari (in tutto il mondo, non solo in Italia), pare che finora non abbia portato a una ripresa sostanziale del virus, anche se è ancora presto per dirlo e c’è più di un dubbio sull’affidabilità di certi dati (quelli della Lombardia, in primis).

Da ignorante in materia, forse mi posso permettere di dire che più delle tre T poterono il caldo e l’aria aperta. Se non altro per rendere un po’ di giustizia postuma a tutti i passeggiatori, runner e ciclisti che sono stati a suo tempo indicati tra i responsabili della diffusione del virus e massacrati dai delatori alle finestre. Ma se quella sul caldo e l’aria aperta è solo una personale sensazione, quella delle famose tre T – testare, tracciare, trattare – è ancora, in gran parte, una bella favola. Il contrasto del virus “casa per casa” è una favola. Il tracciamento dei contagi, soprattutto degli asintomatici, è una favola. Il trattamento domiciliare  e precoce dei malati è una favola. Perché gli annunci sono una cosa, ma la realtà è un’altra. Parlo dell’Emilia-Romagna, che conosco meglio. Sui tamponi siamo ancora attorno a quota cinquemila al giorno contro i 10-15mila promessi. L’assessore alla sanità, Raffaele Donini, in un post di oggi scrive che “dal 29 maggio, con l’arrivo di nuove tecnologie, avremo la potenzialità dei 10mila tamponi al giorno” (e 15mila a settembre). Che vuol dire “potenzialità”? Si fanno o non si fanno?

Sul tracciamento è sempre lo stesso Donini che ci spiega a chi vengono fatti oggi i tamponi: “Ai sintomatici,  ai contatti dei sintomatici, a chi si ricovera in ospedale, ai dimessi dall’ospedale, ai degenti delle Case di riposo, ai positivi di anticorpi IGG e IGM agli esami sierologici”. Ora, se adesso vengono effettivamente fatti ai sintomatici e ai loro contatti è già un bel passo avanti, perché fino a poco tempo fa chi era a casa con i sintomi del virus ma non era moribondo doveva raccomandarsi alla madonna e a diversi santi per avere la speranza che qualcuno andasse a fargli un tampone. Ma quasi sempre la preghiera non veniva esaudita, se non dopo l’aggravarsi della malattia e il ricovero: altro che diagnosi precoci e trattamento domiciliare. E spesso ai famigliari asintomatici dei malati non veniva proprio fatto. Se ora si fa il tampone a chi si ricovera negli ospedali per altre patologie è un altro passo avanti, perché sono passate appena due settimane dal caso del focolaio all’ospedale di Budrio portato da un paziente a cui non era stato fatto il tampone, che ha prodotto un morto e una cinquantina di contagiati tra gli altri pazienti, i loro famigliari e gli operatori sanitari. Se, infine, ora si fa davvero il tampone a tutti i degenti e operatori delle case di riposo, evviva, sarà  finalmente la fine della strage straziante dei nostri poveri vecchi. E forse presto potremo anche tornare a trovarli, con le dovute cautele.

Ma il contrasto “casa per casa” che fine ha fatto? Si sa (poco) di qualche esperienza a macchia di leopardo fatta dal Sant’Orsola, a Medicina, nel reggiano, nel piacentino, in Romagna. Ma non si sa quanti sono stati i test alle persone che sono rimaste a casa con i sintomi del virus e non sono state ricoverate, e quali sono stati finora i risultati. Sarebbe utile saperlo. E sarebbe ancora più utile e rassicurante sapere cosa si sta facendo per individuare gli asintomatici. Ecco, qui subentra la questione dei test sierologici, che mi pare decisiva in questo periodo post riapertura. Posto che l’indagine epidemiologica nazionale non è ancora partita, così come la famosa App “Immuni”, dato per scontato che non si può fare come in Cina dove tutta la popolazione dei distretti a rischio viene testata con milioni di tamponi, sarebbe fondamentale incentivare i test volontari di chi teme di essere venuto in contatto con situazioni a rischio, di essere stato contagiato, o anche di chi vorrebbe rassicurarsi per sé e soprattutto per gli altri di non essere un portatore sano del virus.

Invece i test sono stati prima scoraggiati e ora, nella sostanza, sono ancora un percorso a ostacoli. Perché la Regione ha delegato ai privati, autorizzando un certo numero di laboratori, e al buon cuore dei cittadini, che se li devono pagare. Perché non sono stati considerati, come invece si doveva e si poteva fare, una misura efficace di sanità pubblica e di prevenzione della diffusione del virus.

Da quel che ho verificato e per quel che so funziona così. Se uno vuol fare il test deve farsi fare la prescrizione dal medico (sostanzialmente inutile, dovendo andare dal privato). Poi prende l’appuntamento con l’ambulatorio autorizzato. Lì può fare il test rapido col pungidito (costo medio 25 euro, esito in due o tre giorni) oppure quello più sicuro col prelievo (costo medio dai 40 ai 60 euro, esito entro una settimana). Se risulta di aver contratto il virus ed è positivo agli anticorpi, si deve mettere in quarantena in attesa del tampone. Poi se il tampone è negativo è libero, se è positivo deve stare in quarantena per altre due settimane e comunque fino al doppio tampone negativo. Ma quanto tempo passa dall’esito positivo del test al tampone? Se si passa per la sanità pubblica non si sa. Il laboratorio, infatti, deve comunicare la positività al servizio sanitario, il quale deve prendere in carico il caso e provvedere secondo i protocolli vigenti. L’assessore Donini, sempre nel suo post odierno, dice che il tampone “ai positivi di anticorpi IGG e IGM agli esami sierologici lo effettueremo rapidamente”. Ma non è chiaro a cosa corrisponda quel rapidamente. due-tre giorni, una o due settimane, un mese? Perché è evidente che il tempo fa la differenza. E che, se la prospettiva è di tornare in isolamento per un mese o due, saranno in molti a rinunciare e a non fare il test.

La domanda che viene naturale fare è: ma sarebbe così difficile istituire un servizio dedicato per i tamponi ai positivi dei test? Una rete di laboratori pubblici dove nel giro di uno o due giorni dall’esito si può andare, fare il tampone, e entro i due giorni successivi avere il risultato? E sarebbe così sbagliato far pagare al cittadino responsabile e previdente che decide di fare il test solo il ticket, come per altri esami di sanità pubblica?

Una alternativa c’è e anche in questo caso è privata. Chi fa il test, se è positivo, può chiedere al laboratorio (so per certo che alcuni lo fanno, non so se tutti) di fare lì anche il tampone. In quel caso i tempi sono rapidi: massimo 8-10 giorni, esito compreso. Il costo medio, per quel che mi risulta, è di 80-100 euro. E anche qui sorgono altre domande. Quindi non è perché mancano i reagenti che si fanno pochi tamponi? Quanto costa un tampone alla sanità pubblica? A quanto ammonta il business dei privati su questa partita? E se le cose vanno così in Emilia-Romagna, che comunque ha sempre uno dei migliori servizi sanitari non solo d’Italia ma del mondo, non oso pensare come vadano in Lombardia o nelle altre regioni dove la sanità è stata largamente privatizzata.  Meditate gente, meditate.

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