Sono precipitati in un gorgo di quarantene a catena: prima il padre, poi la moglie e infine i due figli adolescenti di 12 e 15 anni. Una famiglia milanese si è così trovata a rimanere in casa a tempo “indeterminato” a causa della burocrazia sanitaria che si è mossa a ritmi diversi per ogni componente della famiglia. Al Corriere della Sera, il signor Paolo M. e i congiunti raccontano di essere guariti da oltre un mese: “Ma restiamo sotto sequestro”, affermano.
Sono tutti guariti da oltre un mese: ma restano «sotto sequestro» di chiamate random per fare i test (figlio il 18 maggio, figlia ai primi di giugno, madre chissà), e di minimo due settimane per aver i referti dei tamponi. E dunque prima che il signor M. e congiunti, ormai pienamente ristabiliti in salute, possano tornare tutti a uscire di casa e avere una normale vita sociale, passerà ancora oltre un mese. Probabilmente di più. «Fine pena»: forse, a inizio luglio.
La vicenda della famiglia è intricata e inizia a metà marzo quando il papà si ammala di coronavirus. Due settimane di febbre alta, sei giorni in reparto Covid, poi la polmonite risolta, la quarantena e il tampone che dovrebbe essere fatto al quattordicesimo giorno e invece viene fatto al 28esimo. Intanto gli altri componenti della famiglia rimangono a casa in totale isolamento. Intorno al 20 aprile sono tutti guariti e chiedono al medico di base di inserire i loro nomi nell’elenco dei «casi di contatto stretto con paziente Covid-positivo, con segnalazione all’Ats». A questo punto entrano nella scacchiera impazzita dei percorsi affinché la guarigione (e soprattutto la terminata infettività) venga certificata.
“Dopo un mese dalla segnalazione, viene chiamato mio figlio. Il 18 maggio fa il test sierologico al Fatebenefratelli. Risulta, ovviamente, positivo agli anticorpi. Il 20 viene chiamato per il primo tampone. Ed entra così nuovamente in quarantena. L’Ats mi dice che per avere l’esito passeranno dieci-quattordici giorni. Quindi resterà isolato fino all’inizio di giugno. Poi dovrò portarlo a fare il secondo tampone. Vuol dire che forse resterà chiuso in casa, dove sta come tutti dal 9 marzo, ancora un mese. L’altra mia figlia, in questa logica perversa, non fa il test sierologico in contemporanea col fratello, bensì viene inserita ai primi di giugno, tre settimane dopo. In questo modo, quando le risulterà positivo il test, come sarà molto probabile, entrerà nel circuito dei tamponi, con una sfasatura di quattro settimane rispetto al fratello, facendo scattare una nuova quarantena in casa”.
Poi è la volta della moglie, un caso limite, secondo il marito.
“Arriviamo poi al caso limite di mia moglie (che ha fatto una dozzina di giorni con la febbre tra marzo e aprile); segnalata in contemporanea ai due figli, non è ancora stata chiamata da Ats. Dopo due solleciti, non abbiamo alcuna notizia. Alle telefonate, riceviamo informazioni discordanti”.