Cavaliere per aver isolato il ceppo italiano del Covid: "Ma a 40 anni ero e resto precaria"
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Cavaliere per aver isolato il ceppo italiano del Covid: "Ma a 40 anni ero e resto precaria"

per Alessia Lai arriverà "un nuovo contratto a tempo determinato. Ho fatto un concorso come ricercatore sempre per un ruolo a tempo determinato.

Alessia Lai
Alessia Lai
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3 Giugno 2020 - 19.26


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Alessia Lai ha 40 anni, è una scienziata del Dipartimento di Scienze biomediche e cliniche (Dibic) ‘Luigi Sacco’ dell’università degli Studi di Milano da quando ha contribuito insieme alle colleghe – anche loro precarie – Annalisa Bergna e Arianna Gabrieli a isolare il ceppo italiano del nuovo coronavirus nel laboratorio bunker dell’ospedale Sacco. Per il suo lavoro, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’ha nominata Cavaliere del Lavoro, e la notizia l’ha sorpresa e commossa: “Non avevo alcuna idea. E’ stata una piacevolissima sopresa, fossero tutte così le sorprese ci metterei la firma” ha raccontato. Ma c’è anche un’amara realtà di cui bisogna tenere conto: per lei arriverà “un nuovo contratto a tempo determinato. Ho fatto un concorso come ricercatore sempre per un ruolo a tempo determinato. L’ho passato. Mi chiedete cosa mi aspetto? Intanto aspetto la telefonata per andare a firmare il contratto”.
È sempre un posto a tempo, un orizzonte ristretto e definito. “Io vorrei solo continuare il mio percorso accademico, lo sto facendo ormai da 15 anni e quindi mi auguro di progredire. Sapevo di aver scelto una carriera non facile, non breve e che non mi avrebbe dato subito un posto fisso. Ma i fondi per la ricerca sono sempre di meno e i nostri stipendi gravano su quelli. Diventa sempre più problematico, quando perdi persone valide perché non hai più i soldi con cui pagarle. Noi aspettiamo sempre, aspettiamo ancora. Vedremo. Però sono contenta di essere tornata nel mio ateneo a cui sono molto affezionata. Ho fatto tutta la mia carriera qui”. 
Cosa resta da scoprire sul coronavirus Sars-CoV-2? “Tanto – assicura Lai – La cosa più immediata che dobbiamo fare, a cui stiamo lavorando, è caratterizzare i genomi che ci stanno arrivando da numerosi altri centri clinici e vedere se qualcosa è cambiato nel virus o è rimasto tutto esattamente come quando è arrivato, almeno dal punto di vista molecolare. Ma stiamo proseguendo anche con tantissimi altri studi, dalla determinazione degli anticorpi allo studio di farmaci in vitro. I filoni sono diversi e tante le cose da scoprire e capire. Ne avremo per tanto tempo”.
E poi, prosegue, “si spera di riprendere anche le altre attività in stand by. Abbiamo praticamente mollato tutto il resto su cui stavamo facendo ricerca, non meno rilevante, ma non abbiamo fisicamente il tempo e la priorità ora è dare risposte in merito all’emergenza. Siamo in procinto di scrivere un primo lavoro su una cinquantina di genomi provenienti da varie regioni, che potrà dire qualcosa di più sul genoma del virus, su come è oggi rispetto a quando è arrivato quel lontano febbraio. E seguirà un altro lavoro perché il numero centri che collaborano aumenta e i campioni che ci arrivano sono ancora numerosi. Daremo una prima risposta e poi andremo avanti”. (segue)
Il trio di camici rosa continua la sua ricerca con i colleghi. La mattina dentro tute ingombranti nel laboratorio Bsl3 del Sacco, il pomeriggio a fare la stesura del lavoro e analisi dati. “Siamo sempre qui, ancora assolutamente più precarie che mai. Nessuno di noi si aspettava che arrivasse la ‘fata Turchina’ o chi per lei a darci un posto a tempo indeterminato dall’oggi al domani – precisa la ricercatrice – ma speriamo che arrivi non troppo tardi. Aver ricevuto questa onorificenza e l’apprezzamento per tutto quello che è stato il nostro lavoro è la soddisfazione più grande dal punto di vista professionale e personale. E’ un riconoscimento da dedicare a tutti gli operatori del settore, perché poi noi siamo solo una punta di un iceberg molto più grande e non siamo gli unici in queste condizioni”.
Insomma, “non è un contratto a definire quello che uno può fare o l’impegno che uno mette nel lavoro. Non lo è mai stato e non lo sarà ora. Abbiamo scelto questo mestiere per passione e abbiamo dedicato anni di studi”, conclude Lai che nella vita ha sempre lavorato, anche quando frequentava l’università. “Ho lavorato come promoter nei centri commerciali e allo stadio di San Siro come hostess per il Milan”, pur avendo un cuore bianconero. Quello che Alessia si augura adesso “è non rivedere mai più una pandemia del genere. Nessuno, né i clinici né i ricercatori, se lo sarebbe mai aspettato”.

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