Una cosa che vorrei questo pomeriggio? Conoscere il futuro del piccolo appena visto in foto tra le braccia del finanziere che a Lampedusa lo ha portato al sicuro. E vorrei incrociarlo in un futuro migliore, protagonista di un Paese migliore in un mondo migliore. Siccome non ci è dato leggere con certezza nel futuro, possiamo affidarci, come nell’antichità, all’auspicio che ci suggerisce il volo degli uccelli. E nel tramonto straordinario che offrono il mare e la costa di queste isole a metà strada tra Europa e Sud del mondo, il volo delle berte è spettacolo straordinario e messaggio straordinariamente profetico. Devo crederlo. Cala il sole e le berte, dopo aver volato sulle onde, rientrano verso la costa, l’una accanto all’altra, strette tra loro, sfrecciando insieme, sfiorando l’ondulato ora dolce del mare, fermandosi poi sull’acqua, per raggiungere poi il nido tra le rocce.
La foto del bambino che ce l’ha fatta arriva nel giorno di tanti sbarchi, di tanti altri annunciati; nel giorno tristissimo di una foto di segno opposto, terribile come tante altre collezionate in questi anni. Una tutina sulla spiaggia di Sourman, in Libia, la indossava un neonato che invece non ce l’ha fatta. Cinque mesi, era a bordo del gommone dei 30 migranti morti sabato: trenta dopo i sessanta del giorno precedente: Una terribile addizione di numeri che invece sono occhi atterriti, urla disperate, abbracci estremi, le onde che vincono, i polmoni che si riempiono d’acqua, cadaveri sformati e alla deriva, senza pietà per chi è appena nato.
In un giorno iniziato con la foto della tutina sulla spiaggia di Sourman, la foto del piccolo che ce l’ha fatta è una trasfusione vitale che ridà il giusto ritmo al cuore, placa la rabbia, sfoglia il dizionario, passando dalla “d” di disperazione, attraversando la “r” di rabbia, approdando alla lettera “s” di speranza.