“Abbiamo avuto come Humanitas nei nostri ospedali 2.000-2.300 pazienti Covid, 630 morti. A Bergamo, che era un vulcano” nei mesi clou dell’emergenza, “arrivavano morti in pronto soccorso, abbiamo avuto una mortalità del 40%. Per dare un’idea della dimensione dell’onda, in un mese ho visto salire i letti di isolati infettivologici fino a 600 stanze. In un brevissimo periodo abbiamo affrontato una rivoluzione organizzativa. Humanitas non era un ospedale per infettivi, ma una realtà di medicina di precisione, di chirurgia ad alta intensità”. A ripercorrere i momenti più duri è Gianfelice Rocca, presidente di Humanitas, oggi in occasione dell’inaugurazione dell’Emergency Hospital 19, struttura dedicata alle malattie infettive, costruita in 11 settimane con un investimento strutturale e tecnico di 12 milioni di euro.
Mentre l’ondata di malati gravi dal 21 febbraio in poi cresceva, in Humanitas, ricorda Rocca, “abbiamo avuto 325 persone sulle nostre 8 mila andate in quarantena, circa il 5%. La nostra preoccupazione è stata come proteggere la nostra gente. Ci siamo messi al lavoro e siamo riusciti a garantire le protezioni in un momento in cui c’era una competizione mondiale”, con Paesi che bloccavano le esportazioni. “E così abbiamo avuto una prevalenza di contatto col virus in ospedale minore o in linea rispetto all’esterno”. Sono stati giorni difficili, ammette Rocca. “Siamo arrivati ad avere solo 3 giorni di anestetico per la terapia intensiva, e abbiamo dovuto mettere in piedi un sistema mondiale di acquisti per portare materiale qualificato”. E poi c’è la ferita delle vittime.
“Abbiamo avuto 3 morti, a cui dedico oggi la nostra iniziativa”, sottolinea Rocca. Due medici a Bergamo e l’ultima vittima proprio ieri a Castellanza, dopo “una lunga degenza in terapia intensiva”: è Nello Di Spigno, anestesista della Mater Domini, ricordato anche da Maurizio Cecconi, direttore di Anestesia e Terapie intensive in Humanitas. “Tutti gli altri sono rientrati sul lavoro e abbiamo avuto un tasso di assenteismo bassissimo. La gente è venuta a lavorare convinta che doveva farlo, c’è chi ha voluto partecipare perché se non l’avesse fatto si sarebbe sentito menomato. Abbiamo assistito in Lombardia a uno sforzo collettivo straordinario”.
L’Humanitas, dice Rocca, “è stato un alveare, è stata un’esperienza umana incredibile. Sono morte tante persone che entravano in ospedale e non vedevano più i loro cari, come unica ‘famiglia’ potevano avere solo infermieri e medici che cercavano di farli comunicare con i tablet”. Ma quando gli operatori descrivono l’onda che li ha travolti, “tutti dicono: ‘abbiamo trovato un senso a quello che facevamo’ e si scopre che la scelta lavorare in ospedale è mossa da valori profondissimi”.
Oggi “non abbiamo più pazienti Covid attivi. E ora – sottolinea il presidente Humanitas – la difficoltà è la ripresa: abbiamo decomposto un ospedale e dobbiamo ricomporlo, ricostruire la possibilità che sia un posto sicuro dove curiamo bene la gente”. Con l’Emergency Hospital “abbiamo voluto garantire ai nostri pazienti la possibilità di riaccedere in sicurezza in ospedale in qualunque situazione. In questi mesi abbiamo avuto la paura delle persone, in pronto soccorso hanno avuto un calo del 70% degli accessi. Cosa che fa emergere anche un tema di ricostruzione di una risposta territoriale diversa dal pronto soccorso”.
C’è poi tutto l’aspetto psicologico, emotivo, il segno invisibile lasciato dall’emergenza Covid. Nelle strutture “abbiamo quasi dei reduci di guerra”, operatori “che si sono isolati dalla famiglia, che hanno vissuto il dramma. Tutti hanno collaborato, anche gli studenti, e abbiamo avuto medici che sono andati a Bergamo ad aiutare. Restano centinaia di testimonianze importanti da un punto di vista storico che raccontano” uno spaccato della società lombarda. Avremo poco capitale politico, ma abbiamo un capitale umano e civile straordinario”, conclude.
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