E’ stato un 2 agosto surreale questo del quarantesimo anniversario della strage fascista più orrenda di sempre (85 morti e 200 feriti). Comune e Prefettura hanno deciso di non autorizzare causa Covid il tradizionale corteo lungo via Indipendenza e la manifestazione davanti alla Stazione, confinando la celebrazione ufficiale in una Piazza Maggiore blindata. Ma il corteo e il ritrovo in Stazione ci sono stati ugualmente. Un corteo non autorizzato ma “tollerato” di sigle antagoniste, centri sociali, sindacati di base, Potere al popolo e Rifondazione. Più altri mini-cortei di piccoli gruppi organizzati. Più il passeggiare spontaneo da Piazza del Nettuno alla Stazione di alcune centinaia di cittadini.
Con le strade nemmeno chiuse al traffico, qualche sparuta pattuglia della Polizia municipale a osservare più che a regolare, nessuna misura di sicurezza, né di ordine pubblico né anti-Covid. Come se Prefettura e forze dell’ordine avessero deciso di ignorare l’evento. Come se l’Amministrazione avesse scelto di disinteressarsi a ciò che era prevedibile che sarebbe accaduto in questa inedita, mutilata commemorazione. Un distacco insolito, piuttosto sgradevole e preoccupante. Al quale, tuttavia, i partecipanti alla contromanifestazione non autorizzata hanno risposto dando una lezione di civismo. Niente blocchi del traffico, niente casini, solo qualche slogan, comportamento ordinato, quasi tutti con le mascherine laddove non c’erano le distanze, spontaneamente.
Alle 10.25 questa Bologna, la Bologna reale, due-tremila persone a occhio, si è ritrovata lì, nel piazzale delle Medaglie d’Oro, ad osservare composta il minuto di silenzio al fischio del locomotore e ad applaudire. Senza che ci fosse il solito rito: il palco con le autorità, i vessilli, i famigliari delle vittime con le loro gerbere bianche al petto. Si è ritrovata lì, nella Stazione che da oggi è intitolata alla strage (“Bologna Centrale – 2 agosto 1980”), perché quello è il luogo del dolore della città, della memoria, della vicinanza dei bolognesi ai familiari delle vittime, della loro sete di verità e giustizia.
La Bologna ufficiale, della politica e delle istituzioni, invece era altrove, in quella Piazza Maggiore a numero chiuso (mille posti), con i gonfaloni dei Comuni schierati sulla gradinata della cattedrale di San Petronio, le forze dell’ordine in alta uniforme, le autorità politiche, civili e religiose sul palco, i parenti delle vittime schierati nelle prime file, i discorsi del presidente della loro Associazione, Paolo Bolognesi, del sindaco, Virginio Merola, della presidente del Senato, Elisabetta Alberta Casellati (che si è lanciata in una affermazione – “basta segreti, è tempo di aprire i fascicoli dei segreti di Stato” – che a Bologna sa di stantio) e del sottosegretario agli Interni e reggente dei Cinquestelle, Vito Crimi (che ha parlato poco prima nel cortile d’onore di Palazzo d’Accursio non trovando di meglio che chiedere, dopo 40 anni, le scuse dello Stato).
Una cerimonia sempre sentita e importante, certo, ma che è sembrata per molti versi irreale, quasi virtuale, distante dal sentire diffuso della città, anche se si svolgeva nel suo cuore pulsante. Un commemorazione ingessata, senza il solito abbraccio caloroso dei cittadini, con poca empatia, quasi fredda nell’afa soffocante di questo inizio agosto. Quell’empatia e quella partecipazione carica d’affetto e coinvolgimento emotivo che invece si respirava nel “vuoto istituzionale” davanti alla Stazione.
La sensazione è che Il Comune abbia fatto un grave errore a non cogliere questo sentire diffuso della città e a non autorizzare il corteo e il ritrovo in Stazione. “Una scelta dolorosa ma necessaria”, l’aveva definita il sindaco Merola, “per non rischiare e dare il buon esempio sul virus”. Una scelta subita e accolta mal volentieri da molti famigliari delle vittime – anche se alla fine ha ottenuto il benestare di Bolognesi – i quali ritenevano che fosse possibile organizzate il corteo e la manifestazione in sicurezza. Un eccesso di zelo e cautela che fa a pugni con gli assembramenti quotidiani all’ora dell’aperitivo, con le movide notturne in città o gli affollamenti in spiaggia: tutti ampiamente tollerati e in qualche caso incoraggiati (le notti rosa, ad esempio).
Così il “distanziamento sociale”, alla fine, non è stato quello anti-Covid ma quello si è creato tra i cittadini e le istituzioni. Lo spazio vuoto lasciato dal Comune è stato riempito dall’iniziativa delle sigle antagoniste, di singoli gruppi (alcune sezioni Anpi arrivate con le loro bandiere in Stazione invece che in Piazza, o la quarantina di persone mobilitate dall’ex preside del liceo Righi e assessore comunale, Miriam Ridolfi, che hanno manifestato esibendo i manifesti dell’Associazione famigliari delle vittime sui mandanti della strage, ad esempio) e dalla presenza a titolo personale di tanti semplici cittadini che si sono fatti trovare a quell’ora davanti alla Stazione ignorando il divieto di manifestazione. Perché il sentire della città è là, e lo si è visto, senza togliere nulla al valore della cerimonia in piazza. Una frattura che il Comune dovrà ricucire in fretta, confermando e rilanciando il “rito” del 2 agosto, anche per rimuovere i sospetti, che qualcuno ha avanzato, che con la scusa del Covid si siano volute fare le prove per spegnere il 2 agosto.
La strage: celebrazione ufficiale in piazza ma la Bologna reale è andata in stazione
Comune e Prefettura hanno chiuso per Covid il tradizionale corteo lungo via Indipendenza e la manifestazione confinando la celebrazione ufficiale in una Piazza Maggiore blindata. Ma...
Claudio Visani Modifica articolo
2 Agosto 2020 - 15.02
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