Migranti da rispedire a casa: la ministra Lamorgese va a scuola da Salvini
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Migranti da rispedire a casa: la ministra Lamorgese va a scuola da Salvini

La ministra ha detto: “Garantiremo la tutela della salute pubblica delle nostre comunità locali, ma i migranti economici sappiano che non c’è possibilità di regolarizzazione per chi è arrivato dopo l’8 marzo 2020”.

Luciana Lamorgese
Luciana Lamorgese
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Agosto 2020 - 16.30


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Che altro dire: Salvini fa scuola. E tra gli allievi più solerti c’è il suo successore al Viminale: la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.

3 giugno 2018: da Pozzallo, dove è in visita, il neo titolare del Viminale si lascia andare a questa non certo benevola considerazione: “La Tunisia è un Paese libero e democratico che non sta esportando gentiluomini ma spesso e volentieri esporta galeotti”, afferma Salvini interpellato sui casi di intemperanza, registrati nei centri di accoglienza, che avrebbero tra i protagonisti migranti tunisini, aggiungendo che: “Non mi sembra che in Tunisia ci siano guerre, pestilenze o carestie”. Da Tunisi le reazioni sono furiose, si rischia una crisi diplomatica evitata grazie al lavoro di ricucitura condotto h24 dal nostro ambasciatore Lorenzo Fanara e dall’alzata di scudi del ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi che porta Salvini a una mezza marcia indietro.

Ma tolta la sparata sui “galeotti”, per il resto il Salvini-pensiero ha conquistato la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese che, in una intervista al Corriere della Sera, proclama: “Garantiremo la tutela della salute pubblica delle nostre comunità locali, ma i migranti economici sappiano che non c’è alcuna possibilità di regolarizzazione per chi è giunto in Italia dopo l’8 marzo 2020”. E il quotidiano di via Solferino coglie il succo della lunga intervista rilasciata a Fiorenza Sarzanini dalla ministra dell’Interno, con un titolo che è tutto un programma: “Migranti, rimanderemo a casa chi sbarca. Nessuno sarà regolarizzato”.

“Non capisco perché si debba distinguere tra rifugiati e migranti economici. Se uno muore di fame, non dovrebbe migrare?”. A sostenerlo è l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, nel suo intervento alla Conferenza interparlamentare dei Paesi G7/G20, “Le migrazioni vanno guidate e regolamentate – prosegue Prodi – la quota di Pil africano rispetto alla quota del Pil mondiale non è cambiata dal 1980. Con la differenza che la popolazione africana aumenta costantemente”. L’ex presidente del Consiglio sottolinea l’enormità del fenomeno migranti: “Dalla seconda guerra mondiale e fino al 1980 in Europa non arrivava alcun migrante. Dal 1980 in poi i migranti verso l’Europa sono 1,5 milioni ogni anno e i numeri stanno aumentando. D’altronde l’età media in Italia è 46 anni e presto arriveremo a 50 anni. In Italia ci sono più persone che festeggiano gli ottant’anni piuttosto che nuovi nati – argomenta ancora Prodi – in Africa ci sono Paesi in cui l’età media è 17-18 anni. In Germania, Spagna, Italia e Polonia la popolazione sta diminuendo. In Francia la situazione è in equilibrio. Solo l’Italia perderà 6 milioni di abitanti. L’Africa raddoppierà la sua popolazione entro il 2050”. Infine L’ex presidente della Commissione Ue si chiede: “Come non vedere che le migrazioni sono un aspetto enorme della vita mondiale?”

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Cittadinanza inclusiva

“Migranti economici, rifugiati e richiedenti asilo: non facciamo distinzione tra chi scappa dalla fame, dalla guerra o parte alla ricerca di una vita migliore. Vogliamo per loro lo stesso diritto a migrare e la possibilità di entrare in maniera legale e sicura”: così ActionAid nella sua carta costitutiva.

A dire no a questa sorta di “gerarchizzazione della disperazione” sono in particolare le associazioni che da sempre lavorano al fianco dei migranti. Secondo Mario Marazziti, esponente della Comunità di Sant’Egidio, “Dobbiamo ripensare le categorie: in tema di protezione ci sono molte situazioni miste – sottolinea – per esempio dove c’è la desertificazione ci sono persone che fuggono. Anche se tecnicamente in quel momento non c’è una persecuzione religiosa o militare in atto, si fa fatica a dire che chi scappa da quelle zone non è un profugo. Ormai siamo di fronte a forti populismi che puntano sugli egoismi nazionali o solo sul fattore economico – aggiunge – ma non si può non pensare che alcuni paesi vivono una condizione di insicurezza legata alle politiche di vendita di armi, allo sfruttamento energetico dove c’è una responsabilità anche dei paesi europei. Il limite tra la persecuzione e la scarsa possibilità di vivere è molto labile – conclude – Amartya Sen ci ha dimostrato che le carestie e le dittature camminano di pari passo”.

Sulla stessa scia anche la Caritas. “A noi la distinzione tra rifugiato e migrante non interessa, interessano le persone – sottolinea il responsabile immigrazione Oliviero Forti -. L’urgenza di dare risposte concrete ai problemi collegati ai conflitti e alle persecuzioni, con interventi nelL’immediato come i reinsediamenti, non deve mettere in ombra la condizione di chi fugge da condizioni di vita insostenibili come la fame, il degrado sociale e ambientale. Non si può fare una classifica di migranti di serie A e migranti di serie B. La migrazione nasce dalla volontà di cambiare la propria situazione in meglio – aggiunge -. Non a caso nel nostro paese siriani ed eritrei non chiedono asilo, ma si fermano solo le persone che arrivano dall’Africa subsahriana: per questi migranti la vita che trovano nel nostro paese è già infinite volte migliore di quella che vivono nel loro. Non possiamo chiudere gli occhi davanti alle condizioni di miseria che ci sono nel mondo e che nella maggior parte dei casi sono frutto della globalizzazione e dello sfruttamento attuato per anni dai paesi del Nord del mondo. Dobbiamo guardare agli individui non agli status”.

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Situazioni di violazione di diritti umani, dittature, conflitti di varia natura sono causa di miseria, assenza di sicurezza alimentare, scarso accesso alle risorse idriche, malattie endemiche ed epidemie, mancanza di prospettive per i giovani. Ecco che le cause politiche producono effetti in senso lato economici. Non si tratta di singoli o di gruppi perseguitati, ma di masse che soffrono le conseguenze di governi pessimi, dello sfruttamento economico, della violenza generalizzata, spesso incoraggiata dalla disponibilità di armi, non solo attraverso i traffici illegali, ma anche in virtù del commercio legale. Viceversa, proprio le condizioni di miseria e marginalità, aggravate dai cambiamenti climatici (desertificazione da un lato, precipitazioni estreme dall’altro), dalla carenza di istruzione, dalla bassissima possibilità di emancipazione, finiscono per alimentare le mire di autocrati senza scrupoli, la corruzione, l’esclusione e l’espulsione di larghe fasce della popolazione da ogni prospettiva di miglioramento della propria condizione. Ecco che cause economiche producono effetti politici.

Alla ministra Lamorgese consigliamo la lettura di questo scritto di Carlo Petrini, presidente di Slow Food:” In molte parti del continente africano e del Medio Oriente i conflitti e l’insicurezza stanno minando la resilienza di intere comunità. E non si parla di fenomeni locali o sporadici, purtroppo bisogna accettare e riconoscere il fatto che questa instabilità è figlia di secoli di ladrocinio perpetrato dalle nostre società opulente ai danni di comunità e territori visti solo come fonti di materie prime da estrarre a basso costo a uso e consumo di un modello di business che non lascia nulla agli abitanti delle terre depredate. Un modello di sviluppo estrattivo perpetrato per il vantaggio (e le tasche) di pochi a scapito di moltitudini. Basti pensare all’industria mineraria, che spesso monetizza una potenza tecnologica accumulata con lo sfruttamento per ottenere concessioni quasi senza limiti (anche con la complicità di governanti locali non all’altezza della situazione e talvolta corrotti). O ancora si potrebbe gettare uno sguardo alla questione del land grabbing, un vero e proprio esproprio di immense porzioni di territorio che vengono sottratte alle comunità per pochi euro sfruttando (questo verbo ricorre spesso in questo pezzo, e purtroppo non è un caso) anche l’assenza di istituti da noi consolidati come il catasto. Questa è la realtà, in cui proliferano violenze e instabilità proprio perché vengono a mancare gli strumenti basilari necessari per condurre una vita dignitosa, per poter soddisfare i bisogni primari, per dare un futuro ai propri figli. E allora, in un contesto del genere, appare ancora più odiosa una categoria di pensiero che sta tristemente e subdolamente entrando non solo nei nostri vocabolari, ma in maniera molto più preoccupante nelle nostre teste: il concetto di “migranti economici… Ma quale genitore imbarcherebbe il proprio figlio in un viaggio per cui le probabilità di sopravvivenza sono meno che quelle di finire in fondo al mare? O madri incinte che fuggono per cercare di dare una vita più dignitosa alla creatura che portano in grembo?

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Ed ancora: “Non possiamo parlare di migrazioni economiche come grimaldello per avallare politiche di respingimento, di chiusura, di morte. Queste migrazioni sono figlie dell’ingiustizia e dell’iniquità che in parte pesano anche sulle nostre spalle. Quando su un territorio non c’è più non solo futuro ma nemmeno presente, non possiamo pensare che non sia un problema di tutta l’umanità”.

Migranti economici, migranti ambientali: le ragioni della loro sofferenza non sono meno devastanti di quelle di coloro che fuggono da guerre conclamate. Operare una distinzione di trattamento non è solo ingiusto, è odioso. Gerarchizzare la sofferenza è indegno di un Paese che si vuole civile. Non lo dimentichi, signora ministra. E, soprattutto, non vada a scuola dal suo predecessore. Non le fa bene.

 

 

 

 

 

 

 

 

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