“Bermuda ricamati color oro e scarpine lucide e pulite”. La cronaca locale descrive come erano vestiti i bambini di quel gran gruppo di migranti arrivati un paio di giorni addietro a Lampedusa. Trecentosessantanove dice l’ultima conta. Non è stato facile, in un primo momento si era detto che fossero 450. Bermuda ricamati, dunque e scarpine lucide e pulite.
Un giorno, sperando di essere in un mondo diverso, si dovrà scrivere la storia di questo passaggio sciagurato dell’umanità, su come abbiamo risposto ad un evento epico e irrefrenabile, quello della nuova, globale, migrazione. Superficialmente valutato e archiviato come emergenza, incapaci di capire che a muoversi era la Storia. E un giorno in quella storia dovremmo dedicare un capitolo ai tanti errori. Di tutti, delle organizzazioni internazionali, degli Stati, delle Unioni degli Stati, di ciascuno di noi. E tra i tanti errori quelli dei media, dell’informazione, spesso colpevoli di leggerezza, di un uso sbrigativo delle parole, non sapendo pesare mai le conseguenze e i contraccolpi di quelle parole. Il titolo del giornale on line locale, di Agrigento, diceva dei bambini sbarcati con “bermuda ricamati color oro e scarpine lucide e pulite…”.
Sì, chiudendo con i puntini di sospensione che rinviavano, quasi invitavano a cattivi pensieri. Quasi offerte su un piatto avvelenato al solito laido commentatore di turno o agli altrettanti laidi commentatori dei social, quelli che negli immigrati vedono l’origine di tutti i mali, anche di quelli personali se non familiari.
Sì, le bambine e i bambini erano vestiti bene e con le scarpine lucide. E chi lo scrive e lo sottolinea non sa e non sa dire il perchè. Allora lo sappia: le mamme costrette a quel viaggio infernale dalla disperazione o perché in fuga dai regimi autoritari, quando mettono sulla barca i figli sanno che quello potrebbe essere il viaggio di una nuova vita o il viaggio dove si muore. E nell’uno e nell’altro caso vestono i figli a festa. Per l’appuntamento con la vita o con la morte.