“Dal punto di vista linguistico, dire e scrivere ‘avvocata’, come del resto ‘sindaca’ o ‘ministra’ o ‘prefetta’, è correttissimo. Ma siano le donne a decidere come chiamarsi”. La palla passa così “dal campo linguistico a quello dell’evoluzione sociale e della sensibilità personale e professionale”, secondo Luca Serianni, già membro dell’Accademia della Crusca e vicepresidente della Società Dante Alighieri, docente emerito di Storia della Lingua italiana all’università ‘Sapienza’ di Roma, sentito da Enzo Bonaiuto dell’AdnKronos dopo la diatriba aperta nel mondo giuridico e forense sull’uso del termine di ‘avvocato’, ‘avvocata’ o ‘avvocatessa’ per le donne.
“Per la grammatica italiana, ‘avvocata’ è il termine corretto. Le perplessità, come per ‘ministra’ o ‘sindaca’ o ‘prefetta’, che nascevano dal fatto che si trattasse di ruoli un tempo esclusivamente o prevalentemente maschili, oramai vanno considerate del tutto superate – chiarisce il linguista – Ma devo constatare anche come la gran parte delle donne che svolgono la professione forense preferiscano farsi chiamare ‘avvocato’ anziché ‘avvocata’ e questo è un elemento, non linguistico, di cui comunque tenere conto: non si può imporre una soluzione che vada contro le dirette interessate”.
Osserva Serianni: “A Napoli, c’è un quartiere che si chiama Avvocata, in riferimento a Maria; e del resto nella preghiera del ‘Salve Regina’ ci si rivolge alla Madonna definendola ‘avvocata nostra’… Diverso è il caso di ‘presidente’ che è un participio presente, colui o colei che presiede, e dunque non è corretto farlo diventare ‘presidentessa’ al femminile, come anche nei casi di ‘preside’ o di ‘giudice’, colui o colei che giudica”.
E “se ‘direttore’ al femminile diventa ‘direttrice’, per ‘agricoltore’ non c’è il femminile, assente anche per ‘medico’ per cui semmai si ricorre al termine ‘dottoressa’, mentre al maschile ‘dottore’, pure usato spesso al posto di ‘medico’, assume un significato più esteso, nel senso di laureato, non solo in Medicina. ‘Medica’ non va bene, almeno oggi: domani, chissà…”.