All’alba dell’epidemia da coronavirus in Italia il governo aveva previsto tre possibili scenari di sviluppo dell’infezione in un documento di 40 pagine, pubblicato il 22 febbraio e secretato poco dopo. Il testo, la cui esistenza è stata smentita dal ministro della Salute Roberto Speranza, fino a due giorni fa, fissava due priorità: scorte adeguate di dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti) e disponibilità di posti in terapia intensiva.
Come scrive il Corriere della Sera, l’obiettivo dichiarato nel documento “è garantire un’adeguata gestione dell’infezione in ambito territoriale e ospedaliero senza compromettere la continuità assistenziale, razionalizzando l’accesso alle cure, per garantire l’uso ottimale delle risorse. L’erogazione di cure appropriate ridurrà la morbilità e la mortalità attenuando gli effetti della pandemia”.
I tre scenariDell’esistenza del documento ne aveva parlato il direttore della programmazione sanitaria del ministero della Salute, Andrea Urbani, in un’intervista al quotidiano in cui spiegava che per “non spaventare la popolazione” con proiezioni troppo drammatiche si era preferito secretarlo. Nell’atto vengono elaborati tre livelli di rischio. “Il rischio 1, sostenuta ma sporadica trasmissione e diffusione locale dell’infezione. Il rischio 2: diffusa e sostenuta trasmissione locale con aumentata pressione sul Ssn che risponde attivando misure straordinarie preordinate. Il rischio 3: diffusa e sostenuta trasmissione locale con aumentata pressione sul Ssn che risponde attivando misure straordinarie che coinvolgono anche enti e strutture non sanitarie”. Gli ultimi due scenari – con indice di contagio rispettivamente a 1,15 e 1,25 – sono quelli che in proiezione producono il gap più ampio di posti in terapia intensiva. Secondo il dossier “le misure di contenimento tempestive e radicali sono efficaci nel ridurre l’R0 sotto il livello soglia e nel tenere sotto controllo l’epidemia”. In neretto è scritto “dalla conferma del primo caso di trasmissione locale diventa fondamentale attivare tempestivamente misure di contenimento”.
Dpi, terapie intensive e RegioniNel testo gli esperti parlano della necessità di aumentare le scorte di Dpi, poiché “le procedure applicate nelle strutture intensive sono ad alta invasività”. Ma anche di aumentare la dotazione di posti letto nelle terapie intensive “con una riduzione dell’attività chirurgica elettiva del 50%, liberando progressivamente fino a 1.597 posti, di cui 103 in isolamento”. Nell’analisi emerge che “la dotazione nazionale di posti letto è pari a 5.324 posti con un tasso di occupazione dell’85%”. Infine le Regioni. Nel punto più politico, il 22 febbraio, il governo invitava gli enti locali ad attenersi alla linea centrale: “In stato di emergenza nazionale, le Regioni e le Province autonome devono superare le regole, i principi e le attuali differenze programmatiche che derivano dall’adozione di modelli organizzativi fortemente differenti soprattutto per le attività di emergenza”, è scritto. In seno al fatto che “è attivato un Coordinamento nazionale che opera secondo un modello decisionale centrale ben definito e un mandato forte e direttivo che, nel rispetto delle singole organizzazioni regionali, definisca l’efficienza degli interventi da attuare ma soprattutto l’efficacia delle azioni pianificate”.
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