Cosa c’entra il caso Becciu con i destini del mondo, con il bivio tra multilateralismo e illiberalismo? La giornata di venerdì a questo riguardo è stata molto significativa. Tutti hanno parlato dello scandalo che riguarda le finanze vaticane, nessuno ha parlato del discorso del papa all’Onu. Qui su Globalist sì, venerdì sera. Ma sui grandi giornali che riempiono le edicole? Nei telegiornali?
L’obiezione che più comunemente si fa è che gli scandali fanno più rumore. Dunque non è uno scandalo che ci voglia il Papa perché all’assemblea dell’Onu si senta dire che i vaccini anti-Covid vanno dati a tutti. Non è uno scandalo che ci voglia il papa perché all’assemblea dell’Onu si parli dei rifugiati, degli sfollati interni e di tanti migranti come di perseguitati. Dunque non è uno scandalo che ci voglia il papa perché all’assemblea dell’Onu si denunci la struttura predatrice di tante parti del debito internazionale.
Lo scandalo fa più notizia, certamente: ma quale scandalo? Sul caso Becciu ho potuto leggere tante ricostruzioni di fatti complessi, società off-shore, affidavit ed altro. Bisogna leggere e capire bene per capire qualcosa. Ma per capire cosa significhi affidare a un italiano la realizzazione degli infissi per un palazzo in Angola e poi, allo stesso italiano, per un palazzo a Cuba, non c’è bisogno di tanto per capire. Basta sapere che nei due palazzi è transitato come responsabile il fratello della persona che ha avuto l’incarico. Ma quanto sarà costatata la spedizione? Che cultura c’è dietro un fatto del genere? Qui non si tratta di cercare il possibile reato. Non serve il reato per definire un fatto del genere.
Mi dà fastidio parlare del caso Becciu, non mi interessa né denigrare né denunciare fatti che non studio né conosco. Mi interessa parlare di Papa Francesco. Doveva aspettare le prove dei reati prima di procedere? Il problema è il reato? La nunziatura di Cuba sta all’altro capo del mondo, come quella dell’Angola. Non basta questo? Non basta questo a dire “voltiamo pagina”?
No, non basta. Ma non per seguitare a parlare del presule in oggetto, ma per parlare dell’uomo che deve cambiare questo mondo. Come può fare? Come può fare se anche a questo si obbietta “così fan tutti”? Io non penso che non sia vero. Io credo che che esista una cultura negli uffici “romani”, cioè negli uffici del potere, che non si potrà mai sradicare, ma si può contenere. Ma c’è anche altro. E l’altro è questo momento.
Siamo in un momento estremamente pericoloso. In Russia il principale oppositore di Putin è stato avvelenato. Negli Stati Uniti il presidente in carica risponde in conferenza stampa a un giornalista che non sa se riconoscerà l’esito del voto. In Italia è passata sotto silenzio la notizia, data in prima pagina solo da Avvenire,che in Libia ci sono le prove di tortura di Stato sui migranti in ben 13 luoghi detenzione. L’Amazzonia sta scomparendo. Due dei più grandi ghiacciai del mondo si sono dissolti nel nulla. La pandemia dunque è venuta a dirci a tutti: o cambiate strada o andate a sbattere. Stiamo cambiando strada? Cosa significherebbe una guerra materiale tra Stati Uniti e Cina?
Davanti a tutto questo l’unica risposta globale a tutto è quella di Francesco. O rinunciamo all’homo homini lupus di Plauto prima e poi di Hobbes o non avremo più tempo per cambiare idea. Come ha detto Francesco all’Onu, si diffonde un’ idea di potere assoluto. E’ questo il vero rischio. Davvero?
Tra pochi giorni uscirà un’enciclica che evidentemente, ne sono convinto, spiegherà tutto questo. La crisi ambientale è il prodotto di una crisi politica che è il prodotto di una crisi economica che origina in una devastante abiezione culturale: l’epoca illiberale. L’epoca illiberale ormai sta cominciando e ha bisogno di una cultura per sostituire quella liberale e segnare una nuova egemonia. E chi è più illiberale del consumatore? Lui ha bisogno di una sola libertà, quella di consumare: vive da solo. Dopo le utopie sul passato (le grandi religioni) sono arrivate le utopie sul futuro (i grandi movimenti politici tipo il sol dell’avvenire). Poi? Poi è arrivata l’utopia illiberale perché per resistere come consumatori non ci serve che poter consumare di più, ad ogni costo. Allora l’appello di Francesco è un appello che riguarda il domani mattina di tutti: “homo homini lupus” o “omnes fratres”?
La visione che offrirà a giorni Francesco non è una visione angelicata dell’uomo. Non sono sogni infantili, casette di Heidi. No. Il mondo è globalizzato, irreversibilmente. Le reti, internet, le immagini che vediamo a pranzo e cena in televisore, è tutto questo a renderlo tale. Questa globalizzazione effettiva nessuno la può disfare. Ma la globalizzazione praticata ha ritenuto di procedere solo sul fronte finanziario, globalizzando la finanza, non i diritti, le libertà. E la finanza è dei ricchi, non dei poveri, come dovrebbero essere i diritti e le libertà. A una ricchezza globale si oppone una povertà globale.
Così la globalizzazione omogeneizzante ha creato una cultura consumista omogeneizzante per cui tutti vogliamo solo consumare, è l’unica cittadinanza reale: cittadini della società consumista o cittadini della società degli scartati.
Volendo essere tutti cittadini del mondo consumista e non cittadini del mondo degli scartati non ci interessiamo della crisi ambientale, non ci preoccupiamo del suolo e dello sfruttamento del sottosuolo. Ci preoccupiamo solo di entrare, o restare, nella società dei consumatori. Il rifiuto di una percepita perdita di identità ci porta a rimuovere la vera questione, e cioè il recupero di tutte le diversi identità per mantenere il mondo come un’unità fatta da tanti ecosistemi e da tante culture, e ci facciamo convincere dall’idea che recupereremo la nostra identità combattendo tutti gli altri e quindi facendo di tutto per accaparrarci quanto più spazio possibile nell’unico mondo possibile, quello del consumo. La forbice si allarga ovunque: nei contesti nazionali, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, e nel contesto internazionale, dove analogamente i paesi ricchi sono sempre più incredibilmente ricchi rispetto a quelli incredibilmente poveri e devono incrementare lo sfruttamento delle risorse dei poveri per nutrire il loro bisogno di consumi.
Così il potere incaricato di rappresentarci deve diventare assoluto, irresponsabile, purché capace di rappresentarci e tutelarci nel modo più forte che ci sia. L’epoca del consumismo è un’epoca obbligatoriamente illiberale. La religione ne diviene un potente alleato alla condizione che sia una religione piegata all’agenda di ogni potere, cioè ovunque nazionalista, in urto con tutte le altre, determinata a servire il potere di ciascuna nazione. E’ una religione di chiese patriottiche, come quella che si sta cercando di smantellare in Cina, ma che è sempre più nazionalista in Russia, ad esempio. E allora nasca una chiesa patriottica anche in America, anche in Italia, in Brasile. E islam patriottico in Turchia, in Iran, e così via.
Dall’altra parte ci sono invece le religioni dei fratelli di tutti: l’Islam illuminato, l’ebraismo illuminato, il confucianesimo illuminato, il cristianesimo illuminato. E così via. Queste religioni possono vivere insieme perché rifiutano l’idea illiberale, ritengono che se non si vive insieme, come ha detto Martin Luther King, si morirà tutti insieme, come dei folli. Questo è il senso di questi giorni, e gli ostacoli posti sulla strada dell’enciclica, anche quelli fatti con le finestre della nunziatura di Cuba, servono solo a offuscare questo messaggio epocale, questa sfida per rifare un mondo plurale.