Il caso Cesa potrà essere un problema per Conte e le trattative
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Il caso Cesa potrà essere un problema per Conte e le trattative

Stop ai negoziati dei 'costruttori' e M5S in fibrillazione. Dopo le dimissioni del segretario Udc più complessa la partita per costruire una quarta gamba al governo Conte

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21 Gennaio 2021 - 14.17


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Il caso Cesa ha mandato in fibrillazione il M5S, “perché va bene tutto, ma a tutto c’è anche un limite”. Questo è solo uno degli sms che gira nelle chat dei parlamentari grillini.
Il blitz in Calabria contro la ‘ndrangheta, che ha portato alla perquisizione della casa romana del segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, dimessosi immediatamente dai vertici del partito, rende ancor più complessa la partita dei ‘volenterosi’, da raccogliere in Senato sotto il simbolo dell’Udc, di fatto costruendo una quarta gamba al governo Conte.

Quarta gamba che al momento non c’è, e che trova l’ennesima battuta d’arresto. “Siamo rimasti senza interlocutore, perché di fatto le trattative noi le portavamo avanti con Cesa”, dice uno dei ‘pontieri’ in prima linea per mettere in salvo il governo. Convinto che il banco sia a un passo dal saltare. “Conte si è speso martedì, per il voto di fiducia in Senato – dice – ma ora è sostanzialmente fermo. Non può aspettarsi che le firme dei senatori ‘volenterosi’ planino spontaneamente sul suo tavolo, deve spendersi in prima persona, chiamarli uno a uno e dare garanzie che al momento non ci sono”.

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Perché dal premier, ma anche da parte della squadra di governo, soprattutto dai ministri in quota M5S, ci sono resistenze fortissime sulla strada del Conte ter. “Ma non si possono fare le nozze coi fichi secchi… -osserva lo stesso ‘pontiere’ – a meno che il presidente del Consiglio non stia battendo un’altra strada”. “La speranza è che Iv si spacchi – suggerisce un ministro del governo Conte – e una parte consistente dei renziani torni nelle file del Pd, puntellando la maggioranza nel modo meno traumatico possibile per il governo”. In sintesi una guerra di nervi, dove sarà decisivo capire chi cede prima, se Iv o la maggioranza.

La preoccupazione che agita le chat grilline si ritrova anche nelle riflessioni tra i dem. Tra i gruppi parlamentari è forte la preoccupazione. Dal Nazareno con Roberta Pinotti si ribadisce che la linea non cambia: “Matteo Renzi ha aperto una crisi al buio e noi abbiamo evitato conseguenze drammatiche per il Paese. Ora occorre rafforzare la maggioranza per andare avanti”. Ma quella maggioranza con una prospettiva politica attorno alla ‘quarta gamba’ oggi appare in salita dopo i fatti in casa Udc. “Attenzione, però, non è detto che invece quanto accaduto agevoli l’avvicinamento alla maggioranza”, sostiene un esponente dem.

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Forse. Il lavoro continua. Ma c’è chi fa notare che senza la nascita di quella ‘quarta gamba’ anche chi sarebbe disposto a muoversi -ad esempio in Italia Viva- resta fermo. Manca l’appiglio per fare un’operazione di questo tipo, dice chi sta tenendo i contatti con i renziani in bilico. Un supporto dal Maie non viene considerata un’opzione. In ambienti centristi alla Camera lo sguardo è rivolto al premier Conte. Perché un’iniziativa del premier potrebbe sbloccare la situazione. Senza un Conte Ter e senza la certezza di una lista che faccia capo al presidente del Consiglio è complicato ‘smuovere’ le acque, è il ragionamento. E quindi riuscire ad arrivare a quella quota 170 al Senato, indicata da Dario Franceschini come ‘soglia di sicurezza’. E in più il tempo stringe.

A Palazzo Madama mercoledì ci sarà il primo showdown con il voto sulla relazione di Alfonso Bonafede. E se anche alla fine la maggioranza riuscisse a ‘sfangarla’, c’è la consapevolezza dell’impossibilità di andare avanti così sperando di sopravvivere ad ogni votazione delicata. Rafforzare la maggioranza, resta quindi la strada. Anche perché se attorno a questa linea il Pd è stato unito in questi giorni di crisi, se dovesse sfumare l’operazione di rafforzamento della maggioranza, la compattezza dimostrata fin qui potrebbe essere messa a dura prova dalle tante sensibilità diverse che animano i dem.

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Stefano Bonaccini, Giorgio Gori e Dario Nardella in questi giorni hanno già detto che Matteo Renzi ha sì sbagliato ma ‘mai dire mai’. Poi c’è una parte dem che, se il piano A dovesse saltare, allora preferirebbe la strada del voto anticipato. E poi ci sono i gruppi parlamentari dove in tanti la parola ‘elezioni’ non la vogliono nemmeno sentire.

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