Il primario del Sant’Orsola di Bologna parla dei tanti morti: "E' come se ogni giorno in Italia ci fosse un terremoto"
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Il primario del Sant’Orsola di Bologna parla dei tanti morti: "E' come se ogni giorno in Italia ci fosse un terremoto"

Il direttore di Pneumologia e Terapia intensiva respiratoria ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera in cui ha spiegato il dramma covid che gli ospedali italiani stanno vivendo da un anno

Stefano Nava, direttore dei reparti di Pneumologia e Terapia sub-terapia intensiva del Policlinico Sant'Orsola di Bologna
Stefano Nava, direttore dei reparti di Pneumologia e Terapia sub-terapia intensiva del Policlinico Sant'Orsola di Bologna
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9 Marzo 2021 - 08.41


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Ad un’intervista al Corriere della Sera, Stefano Nava, a capo dei reparti di Pneumologia e Terapia sub-terapia intensiva del Policlinico Sant’Orsola di Bologna ha dichiarato: “Quanti sono stati i morti del ponte Morandi? E quelli dell’ultimo terremoto? E’ come se ogni giorno ci fosse una tragedia del genere. Ma ormai siamo troppo assuefatti. E la voglia di voltare pagina conduce dritta alla rimozione, quando non al fastidio per quel che continua ad avvenire”.

E per certi versi peggiora: “Oggi il malato ti scappa in un tempo molto più veloce. Un giorno ha parametri da dimissione, quello seguente viene intubato. Nella primavera del 2020 c’erano focolai più grandi. La bocciofila di Medicina, il corriere della Bertolini. Adesso invece abbiamo tantissimi cluster familiari. E a causa delle varianti, una età media più bassa di 10-12 anni”.

Ha osservato poi il medico: “Non a caso siamo la prima grande città a essere tornata in lockdown questa semplice constatazione mi ha attirato insulti di ogni genere – racconta – Come se avessi voluto porre un marchio di infamia sulla collettività. Per il resto, ho tutti e 34 i posti letto occupati da pazienti Covid. E intanto ho dovuto ‘rubare’ un piano ad altri colleghi. Esattamente come l’anno scorso”. Di fronte a certi messaggi che riceve, e davanti alle 100mila vittime superate ieri in Italia, la memoria di Nava va “al mio amico Giuseppe Lanati, di Como. Grande esperto di rock e di indiani d’America. Era andato in pensione alla fine del 2019. Quando esplose la pandemia, tornò a lavorare gratis. E’ stato il secondo medico italiano a morire di Covid. Dopo di lui, ne abbiamo persi altri 330, e 80 infermieri”.

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Ma rispetto a un anno fa non è cambiato proprio nulla? “Ne sappiamo ancora poco, di questa malattia – risponde lo specialista – E non abbiamo ancora trovato una buona cura. Questo ha confuso la popolazione, anche perché intanto siamo stati sommersi dalle dichiarazioni di miei colleghi che si presentavano in televisione con la verità in tasca. Parlare senza controllo, fino al punto di superare la linea del pubblico servizio per entrare nel campo del narcisismo, generando false aspettative o ulteriori paure, è stato deleterio”, sostiene Nava. (segue)

“A metà marzo – ha ricordato ancora il primario del Sant’Orsola – chiamai una mia amica psichiatra a Pavia, perché mi sentivo addosso un senso incombente di morte. Mi sembrava di essere travolto da questo male. Provavo angoscia. Non mi era mai capitato di provare sensazioni così disperanti”. Dopo, “il 21 marzo, mi ammalai. Lavorando in corsia, oppure in riunione. L’assedio era cominciato anche qui a Bologna, e non uscivo più dall’ospedale”.

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Passare ‘dall’altra parte’ “mi ha segnato molto – ha confessato Nava – Tendiamo a formare i nostri studenti come fossero All Blacks del rugby, guerrieri che si credono invincibili. Ma medicina significa anche dire errore, sconfitta, impotenza. Tutte cose che con l’epidemia abbiamo provato sulla nostra pelle”. Ha avuto paura? “Certo – ammette l’esperto – E’ come camminare su una lastra di ghiaccio sottile. Con il Covid non esiste la diagnosi certa. In ogni momento si può virare verso il meglio o il peggio. Avere la febbre alta per 13 giorni di fila non è certo rassicurante. Non lo è stato per me, non lo è per qualsiasi altro malato”. (segue)

Il medico ha riflettuto anche sui comportamenti degli italiani: “Di recente non sempre si è seguito in modo rigoroso quanto suggerito in maniera ben poco persuasiva”, ragiona Nava, convinto che il momento peggiore sia stato “l’inizio della seconda ondata. C’era stato quell’intervallo estivo di apparente illusione. Con il senno di poi, un errore esiziale. Da non ripetere, a ogni costo”. Se “prima i comportamenti erano stati quasi sempre virtuosi, a settembre, tornando a casa dall’ospedale, incrociai in centro 6 ragazze senza mascherina. Glielo feci notare dicendo di pensare ai loro nonni. Mi mandarono a stendere. Atro che canti dal balcone e medici eroi. Oggi sembra che questi morti siano un problema che riguarda solo gli altri”.

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“Gli insulti sempre più frequenti a medici e infermieri feriscono, questo è certo – non nega il primario – Credo che sia un fenomeno alimentato dalla scarsa conoscenza. La scorsa estate abbiamo ricoverato un signore convinto che il Covid non esistesse. Diceva che eravamo pazzi criminali. Poi è peggiorato. Abbiamo dovuto intubarlo. Oggi gestisce una pagina Facebook che sprona gli italiani a fidarsi dei vaccini”. Ce la faremo? “Centomila morti sono un lascito terribile, ma resto ottimista. A due condizioni”, avverte lo specialista: “Vaccinare, chiunque e ovunque. E poi non abbassare la guardia, evitando di lanciare messaggi contraddittori. Come è avvenuto con la follia di questa estate, quando si è creato un precedente che purtroppo ha fatto scuola”.

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