Italia-migranti, c'è un giudice a Palermo. E un imputato: Salvini Matteo
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Italia-migranti, c'è un giudice a Palermo. E un imputato: Salvini Matteo

Il Capo della Procura Francesco Lo Voi su Open Arms. "Non vedremmo come in un caso come questo non si possa chiedere il rinvio a giudizio"

Matteo Salvini
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

20 Marzo 2021 - 15.46


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Italia-migranti. C’è un “giudice a Palermo”. Il Procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi, al termine della discussione, ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti di ufficio nell’ambito del procedimento per il caso Open Arms. Salvini è accusato di avere trattenuto “illecitamente” 147 migranti a bordo della nave della ong spagnola nell’agosto del 2019. A differenza della Procura di Catania che per il caso Gregoretti chiede il non luogo a procedere, i magistrati di Palermo chiedono per il leader della Lega il processo.

La discussione è stata sostenuta dai tre magistrati presenti in aula, al bunker del carcere Ucciardone di Palermo. La prima a parlare è stata la Procuratrice aggiunta Marzia Sabella, seguita dal pm Geri Ferrara. Ha concluso il Capo della Procura Francesco Lo Voi. “Non vedremmo come in un caso come questo non si possa chiedere il rinvio a giudizio”, ha ribadito il magistrato, secondo cui non c’era alcuna condivisione all’interno del governo ma le decisioni furono prese da Salvini.

Responsabilità personale

 “Il Pos (place of safety ndr) è di per sé un atto di urgenza che viene rilasciato in media in due giorni e viene rilasciato senza bisogno di particolari atti formali. La redistribuzione faceva parte delle competenze del Presidente del Consiglio, ma in ogni caso l’urgenza del Pos riguardava il Ministero  dell’interno” ha detto la Procuratrice aggiunta Marzia Sabella nel corso della discussione. “Non abbiamo alcun difetto di informazione – dice – non  abbiamo problemi di varia natura che ritardavano il rilascio del Pos”. “Emerge invece dagli atti la volontà contraria del ministero dell’Interno al rilascio del Pos – ha concluso Sabella -. Intanto, si ha, dopo la sospensione del primo decreto, il tentativo di emettere un nuovo decreto interdittivo”. 

“Si tratta di un atto politico? Le conclusioni a cui ci portano, non solo le testimonianze raccolte durante l’istruttoria dal Tribunale dei ministri di Palermo ma durante il giudizio a Catania, ci portano a ritenere che non si tratti affatto di un atto politico, ma di un atto amministrativo. Ma ha aggiunto Conte che non si è mai discusso in Consiglio dei ministri dei singoli casi. Sulla concessione del Pos il Cdm non si è mai occupato e che nessuna decisione è mai stata condivisa e che il problema della redistribuzione era un problema generale e non legato ai singoli casi”. A dirlo il procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, durante l’udienza preliminare. “Non c’era l’atto politico, non c’era alcuna condivisione. La decisione era esclusivamente del ministro dell’Interno il quale prendeva la decisione e come dice il ministro Di Maio la portava a conoscenza degli altri con un tweet. La condivisione c’era sul principio della redistribuzione”. 

Matteo il salva vite

“Il mio mandato – ha affermato il leader della Lega durante le dichiarazioni spontanee – è stato caratterizzato da risultati in termini di vite umane salvate e di diminuzione del numero di sbarchi”. 

“Preoccupato? Orgoglioso di aver difeso l’Italia – Il processo per sequestro di persona prevede una pena fino a 15 anni. “Se sono preoccupato? . Proprio no. – proclama Salvini – Sono orgoglioso di aver lavorato per proteggere il mio Paese rispettando la legge, svegliando l’Europa e salvando vite. Se questo deve provocarmi problemi e sofferenze, me ne faccio carico con gioia. Male non fare, paura non avere”. 

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Stragi continue

Intanto, si sta rivelando più pesante di quanto dichiarato ufficialmente il bilancio delle vittime del naufragio avvenuto al largo della Libia il 18 marzo scorso. “I sopravvissuti hanno riferito ad Alarm Phone che 45 persone sono state salvate da pescatori, ma oltre 60 sono disperse e presumibilmente decedute”, ha fatto sapere la ong. L’imbarcazione era andata a fuoco nella notte, e Alarm Phone aveva ricevuto una chiamata da “70-100 persone a largo di Zuwara, vicino la costa libica”. Le autorità libiche avevano dichiarato che i morti erano cinque. 

Scrive Nello Scavo su Avvenire:Dall’inizio dell’anno secondo l’Oim, l’agenzia Onu per i migranti, sono 292 le persone affogate nel Mediterraneo, a cui va aggiunto un imprecisato numero di dispersi dei quali le autorità libiche continuano a non fornire aggiornamenti.

Ombre che restano anche sull’episodio di ieri mattina (18 marzo, ndr) quando dalla motovedetta al largo di Zuara hanno chiesto a Ocean Viking di intervenire e verificare le condizioni di salute degli 11 migranti bloccati nel motoscafo rimasto a motore spento, «poiché sulla nostra motovedetta – hanno spiegato via radio i libici – non abbiamo personale sanitario».

Tutte le donne e i bimbi – spiega la Ong – vomitavano a bordo della barca. Il medico ha eseguito una valutazione sanitaria. Temeva grave disidratazione e sfinimento, soprattutto per i bambini. Ora sono tutti seguiti dai nostri team’.

Gli ufficiali del Gasc non hanno avuto nulla da obiettare, affidando perciò i migranti a Sos Mediterranée. Prima di rientrare in porto, distante circa 40 miglia, hanno però prelevato dal motoscafo l’uomo, la cui nazionalità è sconosciuta, che non ha voluto essere soccorso.

Lungo la rotta del Mediterraneo Centrale che porta alle coste italiane -rimarca Scavo –  gli arrivi di migranti in febbraio sono quasi raddoppiati rispetto a febbraio 2020, a circa 3.300. Lo comunica Frontex. In gennaio e febbraio 2021 il numero totale degli arrivi è stato di 4.300, in crescita del 26%: tunisini e ivoriani sono i gruppi nazionali più numerosi. Nel complesso nell’Ue gli arrivi di migranti sono calati del 40% nei primi due mesi del 2021 rispetto al corrispondente periodo del 2020, a 12mila, principalmente per via di decrementi sulle rotte del Mediterraneo Occidentale e Orientale. In febbraio il numero totale è stato 4.650, circa la metà di febbraio 2020.

Al 10 marzo, 3.170 rifugiati e migranti sono stati registrati come intercettati in mare dalla cosiddetta guardia costiera libica e riportati a terra. La popolazione, informa l’ultimo reporta dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, comprende 2.613 uomini, 264 donne e 293 bambini. «Finora – aggiunge Unhcr–Acnur – la maggior parte di coloro che sono tornati quest’anno nei porti libici provengono dal Mali (22%), dal Sudan (20%) e dalla Guinea (11%)».

Un recente rapporto della missione Onu in Libia ha ribadito che i migranti prigionieri nei campi gestiti dalle autorità ‘hanno raccontato di essere vittima di rapimenti a scopo di riscatto, tortura, violenza sessuale e di genere, lavoro forzato e uccisioni’”.

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L’accordo della vergogna

Il bilancio, a quattro anni dall’accordo Italia-Libia sul contenimento dei flussi migratori, è sempre più desolante e riflette il fallimento della politica italiana ed europea, che continua a stanziare fondi pubblici col solo obiettivo di bloccare gli arrivi nel nostro paese, a scapito della tutela dei diritti umani e delle continue morti in mare. Senza disegnare nessuna soluzione di medio-lungo periodo per costruire canali sicuri di accesso regolare verso l’Italia e l’Europa. È l’allarme diffuso in occasione del quarto anniversario del famigerato accordo ( 2 febbraio 2017-2 febbraio 2021) da Asgi, Emergency, Medici Senza Frontiere, Mediterranea, Oxfam e Sea-Watch. che rilanciano un appello urgente al Parlamento, per un’immediata revoca degli accordi bilaterali e il ripristino di attività istituzionali di Ricerca e Soccorso nel Mediterraneo centrale.

Libia: e lo chiamano ancora “Paese sicuro”. 

“Dalla firma dell’accordo, l’Italia, in totale continuità con l’approccio europeo di esternalizzazione del controllo delle frontiere, ha speso la cifra record di 785 milioni euro per bloccare i flussi migratori in Libia e finanziare le missioni navali italiane ed europee – affermano le organizzazioni firmatarie dell’appello – una buona parte di quei soldi – più di 210 milioni di euro – sono stati spesi direttamente nel Paese, ma purtroppo non hanno fatto altro che contribuire a destabilizzarlo ulteriormente e spinto i trafficanti di persone a convertire il business del contrabbando e della tratta di esseri umani, in un’orribile e insopportabile industria della detenzione. La Libia non può essere considerata un luogo sicuro dove portare le persone intercettate in mare, bensì un Paese in cui violenza e brutalità rappresentano la quotidianità per migliaia di migranti e rifugiati”.

Tutti quei soldi pubblici alla Guardia costiera libica. 

Come riconosciuto dalle istituzioni internazionali ed europee, comprese le Nazioni Unite e la Commissione europea, la Libia non può in alcun modo essere considerata un luogo sicuro dove far sbarcare le persone soccorse in mare: sia perché è un Paese instabile, dove non possono essere garantiti i diritti fondamentali, sia perché migranti e rifugiati sono sistematicamente esposti al rischio di sfruttamento, violenza e tortura e altre gravi e ben documentate violazioni dei diritti umani. Eppure, continua ad aumentare il contributo italiano ed europeo alla Guardia Costiera libica, che negli ultimi 4 anni ha intercettato e riportato forzatamente nel Paese almeno 50 mila persone, 12 mila solo nel 2020. 

E ci sono pure le carceri clandestine. Molti vengono detenuti arbitrariamente nei centri di detenzione ufficiali, dove la popolazione oscilla tra le 2.000 e le 2.500 persone. Tuttavia, meno noti sono i numeri dei detenuti in altri luoghi di prigionia clandestini a cui le Nazioni Unite e altre agenzie umanitarie non hanno accesso e dove le condizioni di vita sono persino peggiori.  La detenzione arbitraria è però solo una piccola parte del devastante ciclo di violenza, in cui sono intrappolati migliaia di migranti e rifugiati in Libia. Uccisioni, rapimenti, maltrattamenti a scopo di estorsione sono minacce quotidiane, che continuano a spingere le persone alle pericolose traversate in mare, in assenza di modi più sicuri per cercare protezione in Europa.

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Obiettivo raggiunto: nessun soccorso in mare. 

Dal 2017 – denunciano ancora le 6 organizzazioni – sono stati spesi 540 milioni di euro dall’Italia, solo per finanziare missioni navali nel Mediterraneo, il cui scopo principale non era quello di soccorrere le persone. Nello stesso periodo, secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) quasi 6.500 persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo centrale, mentre tutti i governi italiani che si sono succeduti hanno ostacolato l’attività delle navi umanitarie, senza fornire alternative alla loro presenza in mare. Persino le recenti modifiche della normativa in materia di immigrazione non hanno di fatto eliminato il principio di criminalizzazione dei soccorsi in mare, che era stato introdotto dal secondo Decreto Sicurezza.

Nel corso del 2020, l’Italia ha bloccato inoltre sei navi umanitarie con fermi amministrativi basati su accuse pretestuose, lasciando il Mediterraneo privo di assetti di ricerca e soccorso e ignorando, allo stesso tempo, le segnalazioni di imbarcazioni in pericolo. Contribuendo così alle 780 morti e al respingimento di circa 12.000 persone, documentate durante il corso dell’anno dall’Oim. Infatti, la risposta delle istituzioni Ue alla crisi umanitaria nel Mediterraneo centrale si limita alle operazioni di monitoraggio aereo di Frontex, Eunavformed Sophia e, ora, Irini, che di fatto contribuiscono spesso alla facilitazione dei respingimenti verso la Libia. Intanto le operazioni di monitoraggio aereo civile, seppur discontinue e anch’esse ostacolate, nel 2020 hanno avvistato quasi 5.000 persone in pericolo in mare in 82 casi, testimoniando continui episodi di mancata o ritardata assistenza da parte delle autorità.

Dall’Italia, nessuna modifica dell’accordo. 

Infine, pur di fronte al tragico fallimento dell’accordo da anni sotto gli occhi dell’opinione pubblica – sottolineano le organizzazioni – nulla si è più saputo rispetto alla proposta libica di modifica del Memorandum, annunciata il 26 giugno 2020 e che a detta del Ministro degli Esteri Luigi di Maio andava “nella direzione della volontà italiana di rafforzare la piena tutela dei diritti umani”. Né tantomeno sono stati resi noti gli esiti della riunione del 2 luglio 2020 del Comitato interministeriale italo-libico, o se ci siano stati nuovi incontri, e neppure a quali eventuali esiti finali sia giunto il negoziato che avrebbe dovuto portare un deciso cambio di rotta nei contenuti dell’accordo.

Torture, stupri, esseri umani venduti come schiavi, con una commistione criminale tra trafficanti di esseri umani, milizie che hanno il controllo del territorio e funzionari corrotti. Tutto questo è documentato in decine di rapporti. Supportato da inchieste dei più importanti media internazionali. Eppure a Roma, come a Bruxelles, si fa finta di niente. Cambiano i governi, i commissari europei, ma resta l’ossessione dell’”invasione” da fermare. Costi quel che costi. Una invasione “inesistente”, numeri alla mano, quella dei migranti. Eppure i respingimenti continuano. Eppure la guerra alle Ong prosegue, nonostante che al Viminale non ci sia più Salvini ma la più “soft”, nei toni, ma non nella determinazione a guerreggiare con le Ong salvavita ministra Lamorgese. Niente è stato fatto per fermare davvero questa mattanza di esseri umani. 

E al Viminale non c’è più l’imputato Salvini Matteo.

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