“Non è vero niente, non c’è stato niente perché chi viene stuprato e fa una denuncia dopo 8 giorni è strano”.
Chiunque dovesse pronunciare queste parole verrebbe inevitabilmente tacciato dei peggiori marchi d’infamia, dal maschilismo fino all’accusa, grave, di star colpevolizzando la vittima di uno stupro. Ma se ti chiami Beppe Grillo, evidentemente, queste cose non solo le puoi dire, ma puoi dirle per difendere tuo figlio, accusato di stupro di gruppo ai danni di due ragazze.
È una vicenda grave, non solo sotto il profilo politico (lasciano il tempo che trovano le accuse di incoerenza del M5s, oggi in silenzio tombale davanti alle parole del loro capocomico), ma soprattutto etico: una frase del genere ha un retropensiero pericolosamente maschilista, dato che sta, di fatto, minimizzando lo stupro.
Lo stupro è una violenza inimmaginabile, di cui le stesse vittime possono rendersi conto non dopo giorni, ma dopo mesi se non addirittura anni. E questo perché viviamo in una società che tende a colpevolizzare le vittime piuttosto che ammettere di avere un problema di maschilismo. E le donne stuprate, in molti, troppi casi, finiscono per non rendersi conto di aver subito una violenza o, peggio, si addossano la colpa.
Che il fondatore del Movimento che attualmente ha la maggioranza al Governo si dimostri così cinico su questo argomento non può essere giustificato con il desiderio di difendere il figlio. Un desiderio comprensibile, ma che deve fermarsi di fronte alla comune decenza: le argomentazioni si fanno in tribunale, non sulla pubblica e virtuale piazza dei social nel tentativo di indirizzare l’opionione pubblica verso l’idea che le due ragazze abbiano inventato tutto.
Ci si aspetterebbe che il Movimento prenda le distanze da queste dichiarazioni. Sono ancora in tempo per salvare la faccia e ricordare a Beppe Grillo che i processi si fanno in tribunale. E anche che non è sua competenza decidere dopo quanto una donna debba denunciare una violenza subita per poter essere presa sul serio.
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