La Moschea di Roma e Confederazione Islamica vogliono costituirsi parte civile nel processo per Saman Abbas
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La Moschea di Roma e Confederazione Islamica vogliono costituirsi parte civile nel processo per Saman Abbas

La nota: "Vicenda causata da codici d'onore disumani: la religione non c'entra. Contro le nozze forzate rafforzare le pene"

Saman Abbas
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10 Giugno 2021 - 09.11


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La vicenda di saman Abbas, presumibilmente uccisa dai familiari per aver rifiutato un matrimonio forzato, ha smosso alcune grandi associazioni.

“La Grande Moschea di Roma e la Confederazione Islamica Italiana hanno già conferito mandato ai propri legali di fiducia di valutare la possibilità di costituirsi parte civile nel processo penale a carico di coloro che verranno ritenuti responsabili del delitto di Saman Abbas”.

Sono le parole di una nota inviata, che esordisce denunciando “violenza sulle donne, ancora”.

“Verrà valutata ogni iniziativa legale a tutela della comunità islamica contro ogni forma di strumentalizzazione mediatica della triste vicenda di Saman Abbas che ci offende e ci addolora profondamente – prosegue il documento firmato dal segretario generale del Centro Islamico Culturale d’Italia, Abdellah Radouane, e dal segretario generale della Confederazione Islamica Italiana, Abdellah M. Cozzolino.

La nota prosegue: “La violenza esercitata sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità, è un fenomeno criminale di particolare allarme sociale in cui convergono una molteplicità di questioni”.

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“Il problema dei matrimoni forzati e, più in generale, dei diritti delle donne, va affrontato oltre che con l’inasprimento della pena, per finalità dissuasive, come previsto dalla legge 69/2019 – che all’Art. 7, prevede l’introduzione dell’Art. 558 bis del Codice Penale (Costrizione o Induzione al Matrimonio) – soprattutto con interventi preventivi sul piano culturale, che facilitino una trasformazione più equa delle relazioni di genere rispetto alla cultura d’origine”, continua il documento.

“Occorrono interventi nelle scuole, nelle comunità e nella società, che favoriscano il recupero fondamentale della memoria storica per consolidare una coscienza e cultura civica capaci di condurre verso la condivisione dei valori democratici, di libertà e di giustizia, sanciti nella Costituzione italiana – si legge – Tutelare i diritti delle donne, anche quando lontane e diverse, richiede che vadano distinti e ben identificati i singoli aspetti della questione, per evitare di scivolare in una narrativa che strumentalmente riproponga confronti di matrice discriminatoria basati sull’intolleranza e sull’ostilità contro le minoranze”.

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La vicenda di Saman Abbas “non ha assolutamente delle motivazioni di natura religiosa, ma rimanda a tradizioni ancestrali e tribali che sono state importate da contesti lontani, misogini e sessisti, contrari all’ordinamento giuridico italiano ed europeo”, viene aggiunto nel documento firmato dal segretario generale del Centro Islamico Culturale d’Italia, Abdellah Radouane, e dal segretario generale della Confederazione Islamica Italiana, Abdellah M. Cozzolino.

“Una catena di dolore, vergogna e disperazione. Una subcultura che viene da lontano e che su ‘codici d’onore’ disumani trova la forza bruta di ferire e perfino di uccidere. Violenza cieca che spinge a compiere delitti efferati e vigliacchi su donne ritenute come proprietà personale. Inciviltà delle relazioni familiari spesso dipinte con linguaggi e temi che del credente in Dio non hanno proprio nulla”.

Il “drammatico” caso di Saman, aggiungono, “non può essere interpretato e declinato ricorrendo a pareri religiosi, ma va esclusivamente inquadrato nella sua cornice criminale e giudicato con gli strumenti giuridici previsti dall’ordinamento italiano”.

 

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