di Simona Cantelmi*
Il 2 agosto 1980 non ero ancora nata. Ma è come se avessi visto tutto con i miei occhi.
Macerie, e polvere, tanta polvere, che entra nelle narici delle persone accorse in stazione per fornire i primi soccorsi. Medici, infermieri, persone comuni, vigili del fuoco, carabinieri, tassisti, gli stessi uomini scampati alla tragedia, tutti a respirare l’odore della strage. E i soccorritori sono davvero tanti, perché i bolognesi – si sa – si danno da fare, con grande altruismo e concretezza.
Operose formiche, al lavoro tra le rovine, ed ognuna di quelle formiche è preziosa. Non si rendono ancora conto esattamente di cosa sia capitato, ma quasi non ci pensano, continuano a lavorare, per ore, instancabilmente. E poi fa un caldo tremendo, quella maledetta polvere si appiccica alla pelle sudata, oltre che a penetrare nei polmoni, nell’anima, e da lì non se ne andrà più via.
I primi ricoveri dei feriti all’Ospedale Maggiore avvengono dopo solo un quarto d’ora, dicono al telegiornale, a dimostrazione che la macchina dei soccorsi è davvero efficiente. Le braccia dei bolognesi sono forti, mentre i loro occhi scattano immagini che rimarranno scolpite nella loro memoria per sempre. Le lacrime cercano di affacciarsi sulle loro palpebre, ma le ricacciano indietro, non è il momento di piangere. Non ancora. Bisogna muoversi! Ogni minuto, ogni secondo può salvare una vita. Per questo sono orgogliosa di essere bolognese e amo i miei concittadini, perché sono mani e cuore.
Alle 10 e 25 del 2 agosto 1980 il tempo si è fermato e non è più ripartito. È come se quella linea temporale si sia interrotta e ne sia iniziata un’altra, un nuovo corso. E ogni anno i bolognesi si ritrovano in stazione perché lì c’è un pezzo della loro anima. Ogni anno si uniscono in corteo, tutti insieme. Insieme. Ogni anno. Ogni anno.
*ufficio stampa e scrittrice