Il piccolo Eitan portato via dal nonno in Israele: ma com'è potuto accadere?
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Il piccolo Eitan portato via dal nonno in Israele: ma com'è potuto accadere?

Il caso sull'affidamento del piccolo sopravvissuto alla tragedia del Mottarone era già divenuto difficile fin dai primi momenti successivi allo schianto della funivia.

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12 Settembre 2021 - 18.03


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La famiglia paterna di Eitan è in guerra con il nonno materno che lo ha portato illegalmente in Israele.
Il caso solleva molti interrogativi non solo sul rispetto delle disposizioni della magistratura italiana, ma anche su come sia stato possibile organizzare ed eseguire un rapimento del genere senza essere fermati dalle autorità italiane. Ne abbiamo parlato con Carlo Biffani, esperto di sicurezza
Il caso del piccolo Eitan, unico sopravvissuto al disastro della funivia del Mottarone e portato in Israele dal nonno paterno anche se era stato affidato a una zia paterna che vive in Italia, solleva molti interrogativi non solo sul rispetto delle disposizioni della magistratura italiana, ma anche su come sia stato possibile organizzare ed eseguire un rapimento del genere sotto gli occhi delle autorità italiane. Ne abbiamo parlato con Carlo Biffani, esperto di sicurezza.
Non è la prima volta che un parente prossimo porta via un minore dall’Italia contravvenendo alle disposizioni di un Tribunale, ma qui parliamo di un bambino la cui vicenda è nota a tutti e che non viaggiava con un genitore. Come è stato possibile?
Personalmente ho in questi anni potuto raccogliere la testimonianza e i racconti di genitori, più spesso padri o parenti degli stessi, che si erano visti sottrarre i figli dalle ex mogli che, non di rado, erano riuscite a ottenere dal loro consolato, a insaputa dell’altro genitore, un documento valido per l’espatrio. 
Appare evidente che la prima cosa da appurare è se il bambino abbia lo status giuridico di doppia cittadinanza perché qualora così fosse, non sarebbe stata fatta alcuna forzatura delle procedure essendo l’autorità israeliana pienamente nel diritto di emettere un documento valido intestato al minore. 
Comprendo come ci si possa chiedere per quale motivo quando si stavano effettuando i controlli di polizia, nessuno abbia deciso di impedire l’imbarco del minore, ma se non vi sono denunce e alert di qualche tipo, o se non vi è il sospetto che il documento esibito non sia valido oppure, peggio, possa addirittura essere falso e se non vi sono comportamenti che lascino immaginare accadimenti delittuosi, gli agenti non possono impedire l’imbarco dei passeggeri.
Certo, noleggiare un aereo privato e mettere in piedi un’operazione del genere non è da tutti
Si vocifera di una possibile vicinanza e prossimità sia del defunto padre che del nonno del bimbo agli ambienti dell’intelligence e della difesa di Israele. 
Non ci è dato sapere quanto queste informazioni siano veritiere, ma è possibile immaginare che qualora ciò corrispondesse al vero, non sarebbe stato così difficile per il nonno ideare, pianificare e realizzare l’estrazione del minore dal territorio italiano, sia per una qual certa attitudine a immaginare e realizzare azioni decisamente border line, sia perché ben consapevole riguardo alle modalità necessarie ad aggirare tutta una serie di ostacoli pratici, primo fra tutti il ritardo, pur se solo di un’ora, nella restituzione del piccolo alla famiglia della zia che ne aveva la tutela. 
Appare infatti evidente come debba essere stata fatta in fase di pianificazione, una stima esatta dei tempi e dei modi necessari ad attuare la fuga, sempre dopo aver risolto gli ostacoli di carattere burocratico.
La famiglia affidataria, quella della sorella del padre di Eitan, sembrava non nutrire alcun sospetto…
Credo sia chiaro a tutti il fatto che la famiglia italiana alla quale il piccolo Eitan era stato affidato, non percepisse in alcun modo la presenza del nonno in termini di minaccia e si fidasse delle intenzioni e del comportamento dello stesso. 
Acquisire questo grado di fiducia e di affidabilità presuppone frequentazione e un totale affidamento nei confronti della persona alla quale si consegna il piccolo. Il tempo necessario alla pianificazione, all’ottenimento del documento necessario all’espatrio, alla identificazione e al noleggio di un aereo, allo studio certosino di tempi e modi, alla costruzione di un rapporto con il piccolo tale da non generare atteggiamenti che avrebbero potuto insospettire gli agenti della Polizia di Stato in servizio di frontiera, una volta raggiunto l’aeroporto, era stato studiato in maniera approfondita e una volta messi insieme i pezzi del puzzle, verificate le criticità e ragionato in termini di minimizzazione del rischio, si è passati alla fase operativa. 
Di certo, appartenere a un apparato di Sicurezza del proprio Paese, essere consapevoli del fatto che quel Paese ha un tipo di approccio estremamente difensivo e protettivo nei confronti dei propri cittadini e avere dimestichezza con la pianificazione di operazioni delicate se non addirittura sotto copertura, può fare in modo che ci si accorga della beffa solo dopo che il peggio è ormai accaduto.
Altra cosa sarebbe stata e certamente più difficile, dover portare via il bambino dalla abitazione della zia contro la volontà di entrambi, ovvero della parente e del minore. Questa “situazione tattica” avrebbe creato non poche difficoltà ed avrebbe comportato una serie di opzioni operative certamente più spinte e dal risultato imponderabile, cosa che in questo caso non è stata necessario, visto il livello di fiducia, malriposta, che esisteva da parte della famiglia italiana nei confronti del nonno paterno.

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