Confermare la condanna di primo grado a tre anni e otto mesi per il maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della stazione Appia, e assolvere il carabiniere Francesco Tedesco, il militare che con le sue dichiarazioni ha fatto riaprire le indagini sul caso di Stefano Cucchi, perché «il fatto non costituisce reato».
Sono queste le richieste del procuratore generale di Roma Roberto Cavallone nel processo d’Appello bis che si è aperto questa mattina davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Roma dopo che la Cassazione lo scorso 4 aprile ha disposto un nuovo processo di secondo grado nell’ambito dell’udienza con la quale è stata resa definitiva la condanna a 12 anni di carcere per i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro accusati di omicidio preterintenzionale. Sia Mandolini che Tedesco sono accusati del reato di falso.
In Appello Mandolini era stato condannato a quattro anno e Tedesco a due anni e mezzo. «Della morte di Stefano Cucchi sono stati dichiarati responsabili, con sentenza divenuta definitiva, due carabinieri della stazione Roma Appia come conseguenza delle lesioni praticate. Di queste lesioni non c’è traccia nel verbale di arresto. Proprio in virtù di questo silenzio – ha sottolineato il procuratore generale nel corso della requisitoria – gli agenti della polizia penitenziaria hanno subito un lungo e ingiusto processo. Il processo agli agenti della polizia penitenziaria e il processo agli Ufficiali dell’Arma si sono verificati in conseguenza alle omissioni del verbale di arresto. In quelle 42 righe del verbale di arresto si nasconde il male, la banalità del male»