C’è chi litiga per un posto in lista. E c’è chi si unisce ai tanti/e per riempire le piazze d’Italia con i colori della pace. Scelte di vita. Globalist è con quel mondo solidale, disarmista, animato da quell’utopismo pragmatico, per dirla con Gino Strada, che domani, sabato 23 luglio, sarà in più di 50 piazze italiane nella giornata di mobilitazione nazionale contro la guerra promossa da oltre 400 organizzazioni.
I colori della speranza
Sbilanciamoci e Rete Italiana Pace e Disarmo (Ripd) fanno il punto alla vigilia della giornata nazionale: Decine e decine di città hanno risposto all’appello di Europe for Peaceper sabato 23 luglio, a 150 giorni dall’inizio della guerra: una mobilitazione nazionale per far tacere le armi e per aprire un vero negoziato che porti ad una conferenza internazionale di pace.
Proprio nei giorni di crisi in cui la politica di Palazzo ha mostrato la corda e il Presidente della Repubblica ha dovuto sciogliere le Camere ridando la parola agli elettori, il movimento pacifista mette in campo una proposta forte che dà voce alla maggioranza dell’opinione pubblica contraria all’invio delle armi e favorevole a iniziative concrete di pace.
Le iniziative pubbliche si svolgono nelle piazze, nelle sedi istituzionali o delle associazioni, nei campeggi, con flash-mob, fiaccolate, camminate silenziose, banchetti, gazebi, raccolte firme, alzabandiera, presìdi, musica, sit-in. Sono più di 400 le organizzazioni che con reti e comitati locali stanno promuovendo le iniziative in oltre 50 città. Si calcola che saranno maggiori di diecimila le presenze alle iniziative che copriranno tutta Italia, da nord a sud: Trento, Trieste, Padova, Vicenza, Verona, Venezia, Torino, Asti, Genova, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Parma, Modena, Bologna, Reggio Emilia, Ferrara, Ravenna, Piacenza, Ancona, Firenze, Pisa, Arezzo, Roma, Napoli, Cagliari, Sassari, Lecce, Brindisi, Potenza, Ragusa, Palermo, e moltissime altre località.
E le adesioni continuano a pervenire agli organizzatori.
La condanna dell’aggressione e la solidarietà con le vittime sono il punto di partenza, ma non bastano. Noi ci impegniamo a lavorare insieme PER UN’EUROPA DI PACE, con l’obiettivo di costruire una proposta di cosa deve essere e cosa deve fare l’Europa, attraverso il lavoro comune di una grande alleanza della società civile europea, che si riconosce in questi cinque punti:
- la condanna dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina e la difesa della sua indi- pendenza e sovranità, nonché la piena affermazione dei diritti umani delle minoranze e di tutti i gruppi linguistici presenti in Ucraina;
- la solidarietà con la popolazione ucraina, con i pacifisti russi che si oppongono alla guerra e con gli obiettori di coscienza di entrambe le parti;
- il rilancio della richiesta del cessate il fuoco per l’avvio di un immediato negoziato in cui sia protagonista l’organizzazione delle Nazioni Unite;
- l’impegno per la de-escalation militare in quanto leva fondamentale per l’iniziativa diplomatica e politica;
- la costruzione di un sistema di sicurezza condivisa in Europa, dall’Atlantico agli Urali, fondato sulla cooperazione e il disarmo per un futuro comune.
La società civile europea ha già fatto i primi passi per arrivare ad una Conferenza di pace che sia ancorata al diritto internazionale per un effettivo impegno nel processo di distensione regionale, attivando un dialogo diretto tra le istituzioni europee, l’Ucraina, la Federazione Russa, in una logica di sicurezza, di cooperazione e di promozione dei diritti umani e della democrazia. Non c’è alternativa.
Che la guerra non sia la soluzione ma sia una delle principali cause delle crisi da cui il nostro sistema e la nostra società non riescono più a liberarsi è sempre più evidente. La guerra scatena l’effetto domino in una società globalizzata, interdipendente, invadendo ogni ambito e spazio: crollano i mercati ed il commercio, aumentano i costi delle materie prime e di ogni unità di prodotto, l’inflazione galoppa ed i salari perdono potere d’acquisto, ritornano la fame, le carestie e le pandemie nel mondo.
Dunque saremo in piazza sabato 23 luglio per dire basta alle guerre ed alla folle corsa al riarmo, nell’interesse comune.
È l’unica strada che ci può far uscire dalla crisi del sistema: tacciano le armi e negoziato subito”.
Così la nota di Sbilanciamoci e Ripd.
Carovana in Ucraina
Scrive Antonio Musella su Fanpage.it, il 2 aprile scorso: “Con oltre 70 mezzi, 35 tonnellate di aiuti umanitari e 200 volontari, la Carovana per la pace “Stop the war now” promossa dal mondo cattolico, a cui hanno aderito diverse ong e associazioni italiane, è la più grande operazione umanitaria in Ucraina dall’inizio del conflitto. Partiti all’alba del 31 Marzo da Gorizia, i mezzi degli attivisti italiani hanno attraversato l’est Europa entrando in zona di guerra all’alba del 2 aprile e arrivando a Leopoli. Ad aprire la strada ai corridoi umanitari dal basso era stata Mediterranea Saving Humans che 15 giorni fa aveva tenuto una prima missione, nella quale oltre a portare aiuti umanitari è stato offerto un passaggio sicuro a 177 persone di 7 nazionalità differenti. Anche la carovana “Stop the war now” offrirà un passaggio sicuro ai profughi, consolidando le attività dal basso dell’associazionismo italiano impegnato in zona di guerra. Ma non solo, la carovana ha lo scopo di essere una iniziativa contro la guerra, ed infatti si è tenuta una manifestazione contro la guerra davanti alla stazione di Leopoli, dove ogni giorni migliaia di persone provano a scappare dalle bombe.
In piazza contro la guerra: “È diplomazia dal basso”
Gli aiuti umanitari, principalmente materiale medico sanitario e cibo a lunga conservazione, sono stati scaricati presso diverse strutture, il centro “Don Bosco” dei padri Salesiani, la sede della Caritas e alla sede del centro culturale “Piattaforma per l’educazione ucraina”. Nel pomeriggio poi la manifestazione alla stazione di Leopoli da dove ogni giorni migliaia di persone cercano di scappare dal conflitto. “La marcia di oggi è un segno tangibile contro la guerra e testimonia che i popoli dal basso non si lasciano solo – spiega a Fanpage.it, Elena Fusar Poli, capomissione di Mediterranea Saving Humans – oggi siamo in 200 dall’Italia, ma il nostro appello va alla società civile internazionale, la nostra è diplomazia dal basso contro la guerra, che afferma in primis che questo conflitto non può essere derubricato a mera cronaca, parliamo di vite umane e di una tragedia umanitaria alle porte dell’Europa”. I manifestanti, circa 200, hanno sfilato con sciarpe bianche con la scritta “Stop the war” ed hanno portato in piazza striscioni contro la guerra. Gli attivisti italiani hanno incontrato diverse realtà associative ucraine: “Sono tutti molto preoccupati dal fatto che la guerra possa essere normalizzata nel dibattito internazionale” sottolinea Fusar Poli. I van di Mediterranea porteranno in Italia dei profughi di guerra, come già avvenuto durante la prima missione. “In tantissimi ci hanno chiesto un passaggio sicuro – spiega la capomissione – non abbiamo posto per tutti, fuori alla stazione di Leopoli, ci sono migliaia di persone che aspettano di poter scappare in un luogo sicuro. Torneremo presto nuovamente. Ripartiranno con noi molte persone che sono arrivate qui a Leopoli da Mariupol, una città completamente distrutta”. Tra le adesioni alla carovana anche “Un ponte per” che a Leopoli è presente con il suo co presidente Alfio Nicotera: “Abbiamo portato aiuti umanitari ad una popolazione che già prima della guerra viveva in difficoltà – spiega a Fanpage.it – abbiamo visto le bidonville a Leopoli, e tante persone disperate, la guerra produce povertà e miseria”.
Una risposta all’attacco ai pacifisti: “Noi in campo dove la politica rinuncia”
Proprio negli ultimi giorni il mondo pacifista italiano è stato attaccato duramente, e la carovana è una risposta agli attacchi: “Dal direttore dell‘Avvenire fino al Papa, il mondo pacifista è finito sotto attacco – spiega Alfio Nicotera – la nostra iniziativa umanitaria ha raccolto la sfida di una vera campagna nazionale contro i pacifisti, noi sappiamo bene dove sono le maggiori ragioni e i maggiori torti, ma siamo contro l’invio di armi, i pacifisti entrano in gioco con iniziative come queste laddove la politica rinuncia a fare il proprio dovere, noi proviamo a mettere insieme tutti intorno ad un tavolo per far tacere le armi”. Il sostegno dei pacifisti italiani va anche a chi manifesta in Russia contro la guerra: “Il popolo russo è vittima di Putin – sottolinea il co presidente di Un ponte per – sosteniamo i pacifisti russi che manifestano mettendo a rischio la loro libertà a Mosca e San Pietroburgo. Noi dobbiamo coltivare i semi della nonviolenza, anche se sono pochi, perché saranno loro la speranza del futuro di questi due popoli”. La carovana è nata innanzitutto in seno al mondo cattolico, per iniziativa della Fondazione Giovanni XXIII e di molte altre realtà cattoliche.
“Ci siamo mobilitati per dare supporto ai rifugiati della guerra in Ucraina – ha spiegato Chiara Amirante della Comunità Nuovi Orizzonti in una nota – abbiamo messo a disposizione le nostre strutture in Italia per fornire riparo e sostegno a chiunque ne avesse bisogno soprattutto con l’obiettivo di portare aiuti in loco e accogliere persone fragili, con disabilità, bambini oncologici e malati, mamma e bambini e anziani. Siamo pronti a tutto pur di garantire un futuro più sicuro a questi nostri fratelli e sorelle”.
C’è un lungo filo arcobaleno che unisce la marcia di Kiev con le piazze del 23 luglio. Un filo imbastito di speranza, di determinazione, della convinzione che la guerra è il problema e non la soluzione. Che un mondo più riarmato è un mondo meno sicuro. E che la diplomazia dei diritti non deve arrendersi a quella degli affari, soprattutto quando sono affari sporchi di sangue. Il sangue dei popoli colpiti dalle bombe e dai droni che dovrebbero portare libertà e che al contrario producono solo morte e distruzione. Da Kiev alle 50 belle piazze del 23 per affermare che esiste la pace giusta ma non esiste una guerra giusta.
L’utopista vestito di bianco
“Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2 per cento del Pil per l’acquisto di armi come risposta a questo che sta accadendo, pazzi!”. “ La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo, non facendo vedere i denti, un modo ormai globalizzato, e di impostare le relazioni internazionali”. Così Papa Francesco il 2 aprile scorso, durante l’udienza al Centro Femminile Italiano.
Concetti che svilupperà un mese dopo. La guerra, “anche stavolta” in Ucraina, “si è preparata da tempo con grandi investimenti e commerci di armi”: così da Malta Bergoglio chiedendo che “gli ingenti fondi che continuano a essere destinati agli armamenti siano convertiti allo sviluppo, alla salute e alla nutrizione”.
Francesco, che alcune settimane fa ha annullato la propria partecipazione ad un incontro promosso dalla conferenza episcopale italiana e dal comune di Firenze, con la partecipazione di vescovi e sindaci di tutto il Mediterraneo, a La Valletta nel suo discorso ha ripreso la figura che era al centro di quell’incontro: “Più di sessant’anni fa, a un mondo minacciato dalla distruzione, dove a dettare legge erano le contrapposizioni ideologiche e la ferrea logica degli schieramenti, dal bacino mediterraneo si levò una voce controcorrente, che all’esaltazione della propria parte oppose un sussulto profetico in nome della fraternità universale”, ha detto Jorge Mario Bergoglio. “Era la voce di Giorgio La Pira, che disse: ‘La congiuntura storica che viviamo, lo scontro di interessi e di ideologie che scuotono l’umanità in preda a un incredibile infantilismo, restituiscono al Mediterraneo una responsabilità capitale: definire di nuovo le norme di una Misura dove l’uomo lasciato al delirio e alla smisuratezza possa riconoscersi’. Sono parole – ha chiosato il papa – attuali: quanto ci serve una ‘misura umana’ davanti all’aggressività infantile e distruttiva che ci minaccia, di fronte al rischio di una ‘guerra fredda allargata’ che può soffocare la vita di interi popoli e generazioni!”.
“Quell’infantilismo, purtroppo, non è sparito”, ha proseguito il papa argentino. “Riemerge prepotentemente nelle seduzioni dell’autocrazia, nei nuovi imperialismi, nell’aggressività diffusa, nell’incapacità di gettare ponti e di partire dai più poveri. Oggi è tanto difficile pensare con la logica della pace, siamo abituati a pensare con la logica della guerra. Da qui comincia a soffiare il vento gelido della guerra, che – ha puntualizzato il papa – anche stavolta è stato alimentato negli anni. Sì, la guerra si è preparata da tempo con grandi investimenti e commerci di armi”.
“Ed è triste – ha proseguito – vedere come l’entusiasmo per la pace, sorto dopo la seconda guerra mondiale, si sia negli ultimi decenni affievolito, così come il cammino della comunità internazionale, con pochi potenti che vanno avanti per conto proprio, alla ricerca di spazi e zone d’influenza. E così non solo la pace, ma tante grandi questioni, come la lotta alla fame e alle disuguaglianze sono state di fatto derubricate dalle principali agende politiche. Ma la soluzione alle crisi di ciascuno è prendersi cura di quelle di tutti, perché i problemi globali richiedono soluzioni globali. Aiutiamoci ad ascoltare la sete di pace della gente, lavoriamo per porre le basi di un dialogo sempre più allargato, ritorniamo a riunirci in conferenze internazionali per la pace, dove sia centrale il tema del disarmo, con lo sguardo rivolto alle generazioni che verranno! E – ha detto il papa concludendo il ragionamento – gli ingenti fondi che continuano a essere destinati agli armamenti siano convertiti allo sviluppo, alla salute e alla nutrizione”.
Francesco fisicamente in quelle piazze non ci sarà. Ma è come se ci fosse. Perché il suo spirito, le sue denunce, le sue utopie, sono quelle del popolo della pace.