Migranti: le stragi in mare e la logistica della crudeltà
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Migranti: le stragi in mare e la logistica della crudeltà

Il corpo senza vita di una donna incinta. Un neonato morto e gettato in mare dalla madre per disperazione.  Un orrore senza fine nel “mare della morte”: il Mediterraneo

Migranti: le stragi in mare e la logistica della crudeltà
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Febbraio 2023 - 15.37


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Migranti, le stragi in mare e la “logistica della crudeltà”.

Il corpo senza vita di una donna incinta. Un neonato morto e gettato in mare dalla madre per disperazione.  Un orrore senza fine nel “mare della morte”: il Mediterraneo

Un’altra tragedia del mare al largo di Lampedusa. 

Sarebbero morti di fame e di freddo i 5 uomini e le 3 donne, una delle quali in avanzato stato di gravidanza, che sono stati ritrovati ieri sera dalla motovedetta Cp324 della Guardia costiera che ha effettuato il soccorso di un barcone a 42 miglia da Lampedusa, in acque Sar Maltesi. A riferirlo ai soccorritori prima e alla polizia dopo, non appena giunti all’hotspot di contrada Imbriacola, sono stati i 42 migranti superstiti. Tutti erano bagnati fradici, infreddoliti e disidratati. I sopravvissuti (fra cui 10 donne e un minore), sono originari di Mali, Costa d’Avorio, Guinea, Camerun, Burkina Faso e Niger.

I migranti hanno raccontato ai mediatori culturali di essere partiti da Sfax, in Tunisia, alle ore 3 di sabato scorso con l’imbarcazione di 6 metri dopo essere stati per mesi rinchiusi in una safe house di Mahdia. 

Le salme di chi non è riuscito ad arrivare vivo a Lampedusa sono state portate, dopo lo sbarco al molo Favarolo, nella piccola camera mortuaria del cimitero di Cala Pisana dove dovranno essere sottoposte ad ispezione cadaverica. 

Ci sono anche due dispersi, secondo quanto raccontato dai migranti soccorsi. I superstiti hanno riferito che sul barcone c’era una donna con il suo neonato di 4 mesi che, a causa del freddo, è morto durante il viaggio e la madre, per disperazione, lo ha gettato in mare. Un uomo s’è tuffato in acqua sperando di recuperare il corpo del neonato, ma sarebbe annegato fra le onde. Anche la madre del piccolo è morta poche ore dopo aver gettato in acqua il suo bambino. Ed il suo cadavere, così come 
quello degli altri sette compagni di viaggio, è stato lasciato all’interno dello scafo. 

Il barcone  nella mattinata di ieri era stato avvistato da un peschereccio tunisino che si trovava fra l’Italia e Malta. I pescatori subito hanno richiesto, alle autorità marittime, i soccorsi, spiegando via radio che a bordo vi era probabilmente un cadavere. Trattandosi di acque Sar Maltesi, i soccorsi sono stati delegati a Malta. Solo nel tardo pomeriggio è stata formalizzata la richiesta al comando generale della Capitaneria di porto di Roma che ricevuta la richiesta di aiuto da Malta ha inviato la motovedetta Cp324. 

Un governo disumano.

Di grande interesse è il documentato report di Cesare Triccarichi per Today: “Da quando si è insediato il governo Meloni – scrive Triccarichi – sono tornate a circolare dichiarazioni con posizioni parecchio radicali sul tema migranti e Ong, corredate da cifre e dati fuorvianti. Il tema è complesso, difficile da inquadrare, ma ci sono numeri e dati precisi sul fenomeno che dicono molto della crisi dei migranti e del ruolo delle parti coinvolte. In più, il primo decreto del governo del 2023 è stato dedicato alle Ong, con l’ormai rinominato “Codice di condotta” che sta limitando le operazioni di soccorso in mare. Ma cosa farà il governo quando gli sbarchi probabilmente aumenteranno per il bel tempo? Parlare degli sbarchi autonomi aiuta a inquadrare meglio il fenomeno, dando il giusto peso alle cose. 

Sbarchi in aumento, ma il peso delle Ong è lo stesso: limitato.

In Italia non sbarcavano così tanti migranti a gennaio da sette anni. Gennaio 2023 è stato infatti il mese con il maggior numero di sbarchi dal 2016, ma il ruolo delle Ong – oltre quello di salvare vite in pericolo -, è rimasto lo stesso: limitato, ora più del solito per le azioni del governo Meloni. Da quando vengono raccolti i dati sul numero degli sbarchi mensili – il 2013 -, il mese di gennaio 2023 è il secondo per il numero più alto di migranti sbarcati (4.959), dietro gennaio 2016 (5.273). Proprio il 2016, con oltre 180 mila arrivi, è stato l’anno con più migranti sbarcati in assoluto.  Anche se a gennaio gli sbarchi sono aumentati, il peso delle Ong sugli arrivi totali rimane limitato. Secondo i dati raccolti dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), a gennaio 2023 sono sbarcati 527 migranti salvati nel Mar Mediterraneo da navi di organizzazioni non governative (Ong), su un totale di 4.959: poco più del 10 per cento sul totale. In più, l’incidenza delle Ong rimane in linea con i numeri del 2022 e del 2021. Il restante 90 per cento dei migranti è arrivato in Italia con sbarchi autonomi o con l’aiuto della Guardia costiera. Il decreto del governo pensato per fermare gli sbarchi non può funzionare, oltre ad essere dannoso: gli sbarchi sono aumentati e le attività di soccorso dei naufraghi sono limitate.

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Il “Codice di condotta” e i pullman di Piantedosi

Dopo la vicenda della Ocean Viking, il governo Meloni ha inaugurato il 2023 con un decreto legge che ha limitato l’attività di soccorso in mare delle Ong. Il decreto è stato rinominato “codice di condotta delle Ong” e ha modificato il “Decreto Lamorgese” del 2020, che consentiva al Ministro dell’Interno in accordo con il Ministro della Difesa e quello delle Infrastrutture, sentito il Presidente del consiglio, di limitare o vietare il transito e la sosta di navi in acque italiane per “ragioni di ordine e sicurezza pubblica”. In continuità con le norme del decreto Lamorgese, il Codice di condotta del governo Meloni aumenta i controlli sui salvataggi in mare delle navi Ong: non ci potranno essere più trasferimenti di migranti da una nave a un’altra e non si potranno compiere soccorsi multipli. Spesso, navi più piccole vanno in soccorso di naufraghi e li trasferiscono su una nave più grande per continuare le operazioni di salvataggio in altre zone. Adesso una nave ha l’obbligo di chiedere il porto di sbarco all’Italia “nell’immediatezza dell’evento” – cioè subito dopo aver effettuato il primo salvataggio -, che deve “essere raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso”.

I pullman di Piantedosi

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva negato che la strategia dal governo fosse quella di far sbarcare i migranti nei porti del Nord Italia per poi spedirli al Sud. La maggior parte dei porti assegnati nelle ultime settimane si trovava dal centro Italia in su, a distanze considerevoli dalle zone di salvataggio nel Mediterraneo, come Ancona, Ravenna, La Spezia, Livorno e Carrara.

Dopo essere stati salvati nel Mediterraneo dalla nave Ong Geo Barents ed essere sbarcati a La Spezia, in Liguria, parte dei 74 minori non accompagnati che si trovavano a bordo sono stati trasportati in pullman fino a Foggia, in Puglia. Altri sono stati portati ad Alessandria, Livorno e Foggia.

Il viaggio di questi minori è stato ulteriormente allungato dalle decisioni del governo: dopo 100 ore in mare e 1.235 km per andare dal punto di recupero fino a La Spezia, si sono aggiunti 760 km in autobus in direzione Puglia: una contraddizione rispetto a quando dichiarato da Piantedosi.

“Non possiamo fermare gli sbarchi autonomi”

“Molti degli sbarchi sulle coste siciliane sono autonomi e noi non possiamo fermarli”. Così la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ad agosto 2021. Gli sbarchi autonomi sono una parte della questione immigrazione che aiuta a comprenderne meglio l’insieme. In primavera le condizioni del mare sono in genere migliori e permettono di attraversare il Mediterraneo con imbarcazioni di fortuna, anche di lamiera.

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Un esempio è la rotta poco nota tra l’Algeria e la Sardegna: il viaggio è molto più breve rispetto a quello dalla Libia, con rischi minori, soprattutto in condizioni meteo favorevoli. Come detto, gli sbarchi autonomi o in cui interviene la Guardia costiera sono la stragrande maggioranza rispetto ai salvataggi delle Ong presi di mira dal governo. Con l’arrivo della primavera, e di migliori condizioni del mare, è lecito attendersi un aumento degli sbarchi autonomi. Per dare un’idea, nei primi giorni del 2023 gli sbarchi autonomi nella sola Lampedusa hanno rappresentato quasi i due terzi degli sbarchi totali in Italia. Le Ong non c’entrano con gli sbarchi autonomi: di conseguenza, il Codice di condotta si rivela inutile a raggiungere gli scopi per cui è nato – fermare gli sbarchi -, oltre che dannoso”.

La rotta tunisina

Arrivano nelle aree di Porto Empedocle, Sciacca, Licata, nell’Agrigentino, su barconi di legno di 10-12 metri, che spesso vengono anche abbandonati. In alcuni casi gli occupanti delle imbarcazioni riescono a scendere e far perdere le loro tracce, in altri gli uomini della Guardia di Finanza o della Capitaneria di porto li hanno individuati.  Più a ovest, verso Trapani o Mazzara, gli immigrati sbarcano, invece, da gommoni che portano dalle 20 alle 40 persone alla volta. In alcuni casi, assieme agli esseri umani, sono stati recuperati anche carichi di sigarette o stupefacenti. 

E’ la rotta tunisina, che attraversa il confine tra Tunisia e Libia. A confermarlo è Reem Bouarrouj, responsabile immigrazione di Ftdes (il Forum des Droits Economiques et Sociaux ): “Tra gli immigrati in Libia – dice – sta iniziando a circolare la voce. Sanno che la Guardia Costiera e le milizie impediscono le partenze dalla costa e così puntano alla Tunisia”. Nell’area di confine tra Libia e Tunisia vige, ormai da tempo, un patto d’azione tra trafficanti di esseri umani e miliziani dell’Isis che, in rotta da Siria e Iraq, hanno fatto di quest’area frontaliera la trincea avanzata dello Stato islamico nel Nord Africa.

Annota Paolo Howard ,in un documentato report su Affari Italiani: “Considerare la rotta tunisina quale mera alternativa a quella libica appare riduttivo. Sono i migranti tunisini a imbarcarsi dai porti di Sfax e Kerkenna, raramente gli stranieri…I protagonisti della rotta restano i giovani tunisini che, stretti nella morsa di una economia impoverita e di un clima politico asfissiante, fuggono a bordo dei social media prima ancora che delle imbarcazioni di fortuna”.

A Sud, le nostre frontiere esterne sono composte da Paesi che non sono solo più di transito, per migranti e rifugiati, ma di origine. E’ il caso, per l’appunto, della Tunisia. Sono i migranti tunisini a imbarcarsi dai porti di Sfax e Kerkenna, raramente gli stranieri (secondo il Forum tunisino dei diritti economici e sociali, tra il 2011 e il 2016 il 74,6% delle persone che hanno lasciato il Parse sono cittadini tunisini). Sebbene negli ultimi mesi il flusso di migranti sub sahariani lungo il confine tunisino-libico sia cresciuto (migranti che vengono in Tunisia per trovare lavoro e raccogliere i soldi per pagare i passeur), ad oggi i protagonisti della rotta restano i giovani tunisini che, stretti nella morsa di una economia impoverita e di un clima politico asfissiante, fuggono a bordo dei social media prima ancora che delle imbarcazioni di fortuna.

“Mi sento morto. Il mio paese non mi rispetta, non ho più alcuna speranza. L’unica speranza che ho è partire.” Intervistato nel centro di Tunisi da un’emittente televisiva, così racconta con lucida, drammatica fermezza un giovane che si appresta la notte stessa ad attraversare il mare con un gruppo di amici. 

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I fattori che spingono le persone a intraprendere un viaggio pericolosissimo si sono moltiplicati a seguito della pandemia, secondo Romdhane Ben Amor, responsabile comunicazione presso il Ftdes. È interessante notare il mutamento del fenomeno: non solo giovani uomini, ma sempre più donne e famiglie decidono di intraprendere il progetto migratorio alla ricerca di una vita migliore in Europa. “Oltre ai fattori socio-economici, la scintilla che ha scatenato quest’ultima ondata migratoria è da ricercarsi nella crisi politica che si protrae da febbraio. Un altro elemento è la rete di trafficanti dietro al quale si cela un’intera economia sotterranea — dalla logistica alla concezione delle imbarcazioni — che sta iniziando ad emergere nelle regioni, in particolare nelle regioni costiere.”

Chi decide di migrare oggi ha maggiori informazioni riguardo ai diritti che tutelano i migranti. “La famiglia era il primo ostacolo per il progetto migratorio dei giovani. Ma questa resistenza comincia a diminuire in quanto i genitori, esasperati dalla loro condizione, si rendono conto che il percorso educativo dei loro figli non garantisce più la riuscita della famiglia e la possibilità di migliorare la loro condizione sociale. Le famiglie cominciano allora a investire in questo progetto, considerando la garanzia di non rimpatrio dei figli minori, o l’assistenza che i familiari con problemi sanitari e handicap possono ricevere.”

Minaccia jihadista

Nell’area di confine tra Libia e Tunisia vige, ormai da tempo, un patto d’azione tra trafficanti di esseri umani e miliziani dell’Isis che, in rotta da Siria e Iraq, hanno fatto di quest’area frontaliera la trincea avanzata dello Stato islamico nel Nord Africa. Di estremo interesse è lo studio pubblicato dal Centro Tunisino per la Ricerca e lo Studio sul Terrorismo (Ctret) sui gruppi jihadisti attivi in Tunisia. Lo studio è stato condotto su un pool di 1.000 tunisini arrestati e incarceratitra il 2011 e il 2022. Dalle verifiche è emerso che il 40% di questi elementi erano giovani laureati o diplomati, il 3,5% era rappresentato da donne, mentre 751 erano giovani sotto i 35 anni.

 Il Ctret ha analizzato anche come i gruppi jihadisti reclutano nuovi adepti. Il sistema più utilizzato è quello dell’indottrinamento individuale, effettuato tramite imam e predicatori, dentro e fuori le moschee, in particolare quelle gestite da salafiti, che si rivelano come il luogo privilegiato di trasmissione e propagazione di una versione fondamentalista e jihadista della religione musulmana. Seguono i social media e i media tradizionali. Lo studio indica anche che il 69% dei jihadisti tunisini monitorati era stato addestrato in Libia e il 21% in Siria, grazie alla facilità di poter viaggiare senza problemi da Tunisi in Turchia e da lì, poi, entrare in Siria. L’immagine della Tunisia che emerge dalla ricerca del Ctret è preoccupante, visto soprattutto l’alto potere attrattivo che l’ideologia jihadista ha mostrato di sapere esercitare sui giovani under 35, ovvero i nati durante il boom economico e demografico esploso in tutto il Maghreb negli anni Ottanta e Novanta. Una fase che, non a caso, molti analisti paragonarono all’epoca a una vera “bomba ad orologeria” che negli anni a seguire sarebbe scoppiata nelle mani dei governi tunisini se non sarebbe stata gestita adeguatamente per tempo.  E quel tempo è scaduto. Dalla rivoluzione dei Gelsomini al quasi golpe: così rischia di morire la “speranza tunisina”.

E si riempiono i barconi. 

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