Niente da fare. La maggioranza securista che governa l’Italia ha deciso di proseguire sulla strada della guerra alle Ong che con le loro navi cercano di prestare soccorso nel Mediterraneo. A niente sono serviti la bocciatura del Decreto sicurezza da parte del Consiglio d’Europa, la sentenza del Tribunale di Catania e neanche l’accorato appello di 66 deputati tedeschi. Il governo Meloni ha posto la fiducia sul Decreto alla Camera e l’ha ottenuta (187 favorevoli, 139 contrari, 3 astenuti). Il testo ora passa al Senato.
Quell’appello inascoltato.
Sessantasei deputati tedeschi hanno chiesto ai colleghi del Parlamento italiano di “impegnarsi per l’osservanza incondizionata del diritto internazionale” e di intervenire in parlamento sul decreto del governo che si occupa delle Ong, oggi al voto finale alla Camera. “Siamo molto preoccupati – si legge nell’appello, riportato da Sea Watch – per il decreto in merito ai salvataggi civili in mare che è stato promulgato dal Governo italiano in data 2 gennaio 2023 e che dovrebbe ora essere convertito in legge. Il decreto contraddice sia il diritto internazionale del mare, sia le disposizioni internazionali sui diritti dell’uomo, sia il diritto secondario europeo”.
I deputati tedeschi che hanno firmato l’appello, tra cui vi sono numerosi Verdi e molti del Spd, premettono che “l’Italia, nel passato, è stata spesso lasciata sola in fatto di politica migratoria, anche dall’Unione europea. Noi ci professiamo favorevoli a una responsabilità comune europea nei confronti delle persone che cercano protezione nell’Unione europea. L’Italia, con la sua posizione ai confini esterni dell’Ue, in mezzo al Mediterraneo, non deve essere lasciata sola ad affrontare questo compito. È necessario fornirle aiuto e provvedere a una ripartizione solidale dei rifugiati nell’Unione europea”.
Il nuovo decreto, però, impartisce “l’ordine di raggiugere direttamente il porto italiano a loro assegnato subito dopo un salvataggio, anche se contemporaneamente altre persone si trovano in pericolo in mare”. “Questa disposizione – affermano i deputati del Bundestag, tra cui il presidente del gruppo parlamentare italo-tedesco Axl Schafer – riduce notevolmente le capacità di soccorso nel Mediterraneo. Ne consegue che i salvataggi possono essere avvenire soltanto con ritardo o non possono più essere effettuati per nulla. Meno imbarcazioni da salvataggio nella zona Sar non significa tuttavia meno rifugiati, ma soltanto ancora più morti tra i fuggitivi. In tal modo il decreto non concorda né con il diritto vigente che, nell’art. 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, stabilisce l’obbligo di salvataggio, ma neanche con l’obbligo di portare le persone salvate nel più breve tempo possibile in un posto sicuro sulla terraferma, come stabilito nella Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare. Anche il Consiglio d’Europa si mostra preoccupato per il fatto che l’applicazione del decreto limita sproporzionalmente il lavoro delle organizzazioni di salvataggio marino e che l’Italia non rispetta i suoi obblighi umanitari e di diritto internazionale”.
“Il 15 febbraio 2023 – conclude l’appello – il Parlamento italiano quindi voterà per la conversione o meno del decreto in legge. Ci appelliamo al Parlamento italiano di ricordarsi durante la votazione delle giustificate preoccupazioni sulle conseguenze del decreto per le vite umane in mare”.
La risposta della maggioranza di destra è arrivata col voto.
La bocciatura del Consiglio d’Europa.
Ne scriveva, l’1 febbraio su Avvenire, Nello Scavo: “«Revocare il decreto» fino a quando «non saranno prese misure adeguate, per garantire che le vite dei migranti non siano messe a rischio» dalle norme che impediscono ai soccorritori «di intervenire efficacemente». Da Strasburgo arriva una pesante bocciatura per la dottrina Piantedosi, i cui effetti vengono definiti «intimidatori».
Il Consiglio d’Europa, l’istituzione di riferimento della Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso il «Consiglio di esperti in materia di leggi organizzazioni non governative», mette in guardia il governo italiano richiamandolo proprio alla giurisprudenza della Corte per i diritti umani. E questo perché i nuovi decreti sicurezza, non sono ritenuti in linea con le norme europee. In particolare, è stata valutata la conformità del decreto legge con i requisiti dell’articolo 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), fra l’altro dedicato alla «libertà di riunione pacifica e alla libertà d’associazione».
Il parere espresso dagli esperti con una relazione di nove pagine, valuta la compatibilità delle decisioni di Roma con le norme europee sugli spazi concessi dalle autorità alla società civile. La presenza in mare delle organizzazioni umanitarie, infatti, viene considerata come parte di attività «di natura critica» la cui libertà non può essere soppressa, specie a causa «dell’assenza di operazioni di ricerca e salvataggio a livello statale o europeo dopo la fine della missione italiana “Mare Nostrum”, lo smantellamento dell’operazione congiunta Triton e la decisione degli Stati membri dell’Ue di cessare i pattugliamenti marittimi dell’operazione Sophia».
Che i decreti non siano annoverabili tra le misure in buona fede, secondo Strasburgo lo dimostrano diversi cavilli definiti “chilling effect”. In altre parole: intimidatori. Vengono infatti moltiplicati «in modo significativo i requisiti per le imbarcazioni che effettuano missioni di salvataggio per entrare o transitare nel territorio italiano». Ad esempio, deve essere dimostrato «che sono state prese tempestivamente iniziative per informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale, e il personale della nave è tenuto a raccogliere dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità».
Non bastasse, la nave del soccorso civile «è tenuta a richiedere immediatamente dopo l’evento (il salvataggio, ndr) l’assegnazione di un porto di sbarco, e deve procedere verso tale porto senza indugio». Inoltre, adoperando volutamente un «un linguaggio vago e poco chiaro che rischia di essere interpretato in modo arbitrario», il decreto legge specifica «che i metodi di ricerca e salvataggio in mare da parte della nave non devono aver contribuito a creare situazioni di pericolo a bordo o impedito l’arrivo tempestivo al porto di sbarco designato dalle autorità». Se la somma di tutte queste condizioni, poste esclusivamente alle organizzazioni umanitarie e a nessuna altra nave che si trovasse a effettuare soccorsi, non fossero abbastanza per giudicarle sproporzionate, secondo gli esperti del Consiglio d’Europa, i decreti vanno persino oltre, mettendo in discussione l’essenza e la salute della democrazia. Perché alimentano «l’ostilità nei confronti degli operatori umanitari e delle Organizzazioni non governative». Contribuendo «a un effetto raggelante»: «Il lavoro cruciale delle Ong per contribuire allo sviluppo e alla realizzazione della democrazia e dei diritti umani».
C’è un giudice a Catania.
Se non fosse cessata la materia del contendere, per l’avvenuto sbarco, il ricorso sarebbe stato accolto con conseguente condanna dei ministeri”: ad affermarlo oggi la sentenza del Tribunale civile di Catania sul ricorso contro il Decreto immigrazione del governo presentato da 35 profughi salvati dall’Humanity 1, , tra i sbarcati nel porto del capoluogo etneo il 6 novembre 2022. In un passaggio della sentenza, la presidente Marisa Acagnino scrive che “il decreto è illegittimo” perché “consente il salvataggio solo a chi sia in precarie condizioni di salute, contravvenendo al contenuto degli obblighi internazionali” sul soccorso in mare.
Il ricorso, presentato dagli avvocati Giulia Crescini, Cristina Laura Cecchini e Riccardo Campochiaro, riguardava il decreto interministeriale del 4 novembre del 2022 che prevede l’ingresso e la sosta nelle acque territoriali per il tempo strettamente necessario ad assicurare le operazioni di assistenza alle persone che versano in condizioni di emergenza e precarie condizioni di salute, segnalate dalle competenti autorità nazionali. La nave della Ong tedesca Sos Humanity, che fu una delle prime a cui fu applicato il decreto, con a bordo 179 naufraghi, ricevette il 5 novembre del 2022 l’indicazione del porto di Catania per eseguire le operazioni autorizzate. L’indomani dalla nave scesero 144 persone, mentre 35, che poi presenteranno ricorso, rimasero a bordo e che furono fatti sbarcare l’8 novembre dopo valutazione psichiatrica. “Fra gli obblighi internazionali, assunti dal nostro Paese, vi è quello di fornire assistenza ad ogni naufrago, senza possibilità di distinguere, come sancito nel decreto interministeriale, applicato nella circostanza, in base alle condizioni di salute”, afferma la presidente del Tribunale civile di Catania.
Per Nicola Fratoianni, segretario nazionale di Sinistra Italiana e parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra, “iI tribunale di Catania è stato chiaro, il governo italiano ha violato il diritto internazionale. Il governo Meloni e il ministro Piantedosi si rimangino la vergogna del ‘carico residuale’, ha detto Fratoianni commentando la sentenza. “La bocciatura nei confronti del governo per il comportamento assunto nei confronti dei migranti della Humanity è chiara: ogni naufrago deve essere assistito, senza distinguo. E l’Italia ha violato la legge e il diritto internazionale. Il governo Meloni e il ministro Piantedosi – conclude il leader di SI – si rimangino la vergogna del carico residuale”.
Ammiraglio controcorrente.
Le navi umanitarie “sono unità che possono prestare soccorso, pertanto sono utili, così come i mercantili e i supply vessel” e “sono unicamente attive sulla direttrice che unisce la Tripolitania con l’isola di Lampedusa: nel 2022 hanno soccorso oltre 11mila migranti, pari al 34% dei migranti giunti in Italia attraverso il flusso della Tripolitania”. A parlare è il contrammiraglio della Guardia Costiera Giuseppe Aulicino, in audizione alla Camera alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Trasporti, il 18 gennaio scorso. “Dalla Tripolitania – ha proseguito – il flusso è costante, vengono utilizzate barche in legno costruite in Libia o gommoni più o meno attrezzati, con un numero di persone che arriva a volte a sfiorare o superare le 100 persone a bordo. Su questo flusso operano le Ong”, ha concluso.
Quando si indaga sul presunto e mai provato pull factor delle Ong, bisogna però analizzare i dati delle partenze dalla Libia, e non quello delle persone salvate in mare. Sembra scontato, ma non lo è, e la mancanza di chiarezza su questo punto inquina spesso il dibattito. I numeri dicono in ogni caso che meno del 10 per cento delle persone salvate sulla rotta del Mediterraneo centrale da quando si è insediato il governo Meloni, a ottobre, sono state salvate da navi umanitarie. Vari studi inoltre hanno dimostrato che a Ong che arrivano di fronte alle coste libiche non corrispondono maggiori partenze. Prendendo in considerazione i dati del 2022 (1 gennaio – 31 dicembre) le navi umanitarie hanno salvato “solo” il 12% dei migranti approdati in Italia: tutti gli altri vengono soccorsi dall’instancabile lavoro delle motovedette della Guardia costiera e della Guardia di finanza, che trasferiscono poi uomini, donne e bambini nei porti italiani.
“In merito al fenomeno dell’immigrazione irregolare via mare verso le coste italiane, il 2022 si è concluso con 105.290 arrivi, circa +56,4% rispetto al 2021, paragonabile alla somma degli arrivi del precedente triennio, 113mila circa”, ha anche detto il contrammiraglio Aulicino nel corso dell’audizione. “I flussi che hanno caratterizzato il 2022 – ha spiegato – si possono riassumere così: 1.401 migranti dall’Algeria, con una riduzione del 10% rispetto al 2021; quasi 32mila dalla Tunisia, con un aumento di oltre il 60%; 53.190 dalla Libia, con un aumento di oltre il 70%. Quando parliamo di Libia, è importante specificare che da questo territorio partono due diversi flussi: uno dalla Tripolitania, che ha visto arrivare in Italia oltre 33mila migranti, un numero invariato rispetto allo scorso anno; ma anche dalla Cirenaica, dove si è registrato un nuovo importantissimo flusso che ha visto far arrivare in Italia 20mila migranti. Dal Mediterraneo orientale abbiamo un ulteriore flusso che riguarda Turchia, Egitto, Libano e Siria, che ha portato in Italia 17mila migranti”, ha concluso Aulicino.
Ma del parere di esperti il governo Meloni se ne frega. La sua guerra alle Ong e ai migranti è ideologica, identitaria. Aiuta a prendere voti e se questo comporta possibili naufragi e respingimenti nei lager libici, poco importa. I migranti non votano.
Non votano ma continuano a morire.
Tragico bilancio, questa mattina, per l’ennesimo naufragio di migranti partiti dalle coste libiche: come denuncia l’Onu, 11 persone sono morte e altre 62 risultano disperse dopo che l’imbarcazione sulla quale navigavano è andata a fondo al largo della Libia. Tolti i sopravvissuti, i restanti a bordo (73 migranti) vengono già indicati come “presumibilmente morti”.
Le informazioni sono state fornite dal portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, Flavio Di Giacomo: soltanto 11 corpi recuperati. E solo sette sono i sopravvissuti, portati in ospedale in condizioni “estremamente disastrose”, spiega ancora l’Oim Libia. Il barcone era partito da Qasr Al Kayer, spiega Di Giacomo, con circa 80 persone a bordo.
I corpi sono stati “recuperati dalla Mezzaluna rossa libica e dalla polizia locale”. Finora, sono oltre 130 le persone morte dall’inizio dell’anno nel Mediterraneo Centrale.
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