Forse sono rimasti soltanto i marziani a non essersi ancora pronunciati contro il Decreto anti migranti, e anti Ong, partorito dal governo securista di Giorgia Meloni, che la Camera ha approvato come disegno di legge e che ora attende lo scontato via libera del Senato per diventare legge dello Stato.
Bacchettati e ancora bacchettati.
Globalist ne ha già dato puntualmente notizia ieri. Ma vale la pena ritornarci, perché quel pronunciamento è politicamente clamoroso.
L’Onu è fortemente preoccupato dalle decisioni italiane sui migranti. Il caso è quello del decreto Ong, che rivede le regole del soccorso in mare per le navi umanitarie. Il testo è stato approvato alla Camera con la fiducia chiesta dal governo Meloni, e la prossima settimana sarà in Senato per il via libera definitivo. Su questo il capo delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha espresso “serie preoccupazioni per una proposta di legge in Italia che potrebbe ostacolare la fornitura di assistenza salvavita da parte delle organizzazioni umanitarie di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, con conseguenti più morti in mare”.
“Osserviamo tutti con orrore la difficile situazione di coloro che attraversano il Mediterraneo e il desiderio di porre fine a quella sofferenza è profondo. Ma questo è semplicemente il modo sbagliato per affrontare questa crisi umanitaria – ha detto Türk in una nota – La legge punirebbe efficacemente sia i migranti che coloro che cercano di aiutarli. Questa penalizzazione delle azioni umanitarie probabilmente scoraggerebbe le organizzazioni umanitarie e per i diritti umani dal compiere il loro lavoro cruciale”.
“La proposta di legge prevede inoltre che le navi di soccorso umanitario si dirigano in porto immediatamente dopo ogni soccorso, rinunciando a ulteriori soccorsi anche se sono nelle immediate vicinanze di persone in difficoltà – si legge ancora nella nota dell’Onu – Allo stesso tempo, l’Italia ha recentemente designato porti di sbarco distanti per le persone soccorse in mare, a volte giorni di navigazione lontani dal sito di salvataggio originale, rendendo ancora più difficile per le navi che potrebbero tentare di effettuare più soccorsi”.
“L’Alto Commissario ha affermato che la proposta di legge rischia anche di aumentare le intercettazioni e i rimpatri in Libia, un luogo che l’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha ripetutamente affermato non può essere considerato un porto sicuro di sbarco. In base alla proposta di legge, gli equipaggi a bordo delle navi devono registrare ogni persona che intenda chiedere protezione internazionale – ha continuato Türk – Le organizzazioni non governative che non rispettano le nuove regole sarebbero soggette a sanzioni amministrative, ammende e al sequestro della loro imbarcazione. L’Alto Commissario ha esortato il governo italiano a ritirare la proposta di legge e a consultare i gruppi della società civile, in particolare le Ong di ricerca e soccorso, per garantire che qualsiasi proposta di legge sia pienamente conforme al diritto internazionale dei diritti umani, al diritto internazionale sui rifugiati e ad altri quadri giuridici applicabili, comprese la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e la Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio in mare”.
“Migranti, con la destra affonda la speranza”.
E’ l’azzeccatissimo titolo dell’articolo pubblicato da La Stampa a firma Simonetta Gola, direttrice comunicazione Emergency.
Scrive Gola: “Ieri, alle ore 14, la Camera ha votato a favore della conversione in legge del decreto sulla gestione dei flussi migratori. Qualche ora prima, un tweet dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni riportava che sarebbero 73 i dispersi di una barca partita da Qasr Alkayar e di cui si sono perse le tracce. Sono 11 finora i cadaveri recuperati sulle coste della Libia. Non sappiamo se avrebbero potuto essere soccorse da una nave della flotta civile, ma sappiamo che non ne hanno neanche avuto la possibilità.
La politica applicata dal Governo Meloni per mano del ministro dell’Interno Piantedosi – non solo con il decreto del 2 gennaio – ha svuotato il mare dalle navi umanitarie, riducendo drasticamente per chi attraversa il Mediterraneo la probabilità e la speranza di arrivare vivo in Europa. Esigere l’immediata rotta verso il porto assegnato si traduce in navi che devono tornare in Italia con un decimo dei naufraghi rispetto a quanto ne potrebbero soccorrere, come è successo con la Geo Barents. Assegnare porti che richiedono 900 miglia di viaggio equivale a giorni di assenza – tre? Quattro? – da uno dei luoghi più caldi del pianeta, com’è successo per la Ocean Viking. Di quante vite che potrebbero essere salvate e non lo saranno stiamo parlando? Sono numeri facili da stimare, e sarà indispensabile farlo nei prossimi mesi, anche se non è mai solo una questione di numeri quando si parla di persone.
A guardarli dalla Life Support di Emergency, unica nave presente oggi nell’area Sar libica, gli effetti appaiono con chiarezza brutale: da giorni gli strumenti di monitoraggio del traffico navale tipo Vessel Finder non tracciano i movimenti in questa area del Mediterraneo, in cielo volano droni in pattugliamento, una motovedetta della guardia costiera libica – sempre la stessa – ci si materializza intorno appena cambiamo rotta o velocità. Siamo diventati noi il centro dell’attenzione, mentre dovrebbe esserlo la sorte dei disperati che sognano l’Europa dei diritti dalle coste di Zuwarah o Zawiyah.
In questi giorni manca anche il monitoraggio aereo civile – non quello di Frontex – e Alarm Phone non sta comunicando la presenza di barche in “distress”. Sono rimasti tutti bloccati sulle coste, nonostante le buone condizioni del mare? Vengono intercettati prima? Vediamo relitti di barche bruciate e diversi segnali di fumo in lontananza, ma non sappiamo se siano i resti delle barche intercettate dai libici, che solitamente danno fuoco alla barca dopo aver recuperato le persone a bordo. Ci limitiamo a mettere in fila i fatti. Dalla visita recente della presidente Meloni n Libia qualcosa in queste acque è cambiato. La questione però rimane sempre la stessa: oltre 20 mila persone sono morte su questa frontiera dal 2014, dopo la cancellazione di Mare Nostrum; nell’ultimo anno sono state 1.385. Oltre 100 quest’anno. Almeno quelle note.
Serve allora facilitare i soccorsi, invece che impedirli. Serve che l’Europa coordini una missione di soccorso per fermare l’espandersi di questo cimitero, non intimidire o vessare la società civile che si è assunta la responsabilità di colmare questo vuoto ingiustificabile con sforzi enormi.
Il controllo dell’immigrazione non può avvenire lasciando morire chi attraversa questo mare in cerca di una vita decente o esternalizzandolo a un Paese in guerra e allo sbando. Sono ormai decine i report delle organizzazioni internazionali che denunciano maltrattamenti e abusi compiuti dai miliziani libici. Eppure adesso sappiamo che si può aver letto Primo Levi o celebrare la giornata della Memoria, anche con sincera commozione, e votare in Parlamento – compattamente e trasversalmente – per il rinnovo degli accordi con la Guardia Costiera libica. Bisognerebbe guardare anche solo una volta le facce di chi racconta i giorni passati nelle sue carceri per capirne la gravità.
Le migrazioni sono un fenomeno strutturale al nostro tempo: o le gestiamo con decenza, o interveniamo sulle cause alla loro origine, essendo pronti a scoprire quanto hanno a che fare con lo stile di vita del nostro Occidente. O continuiamo a ignorare i morti”.
Così la direttrice comunicazione di Emergency. D’applauso.
A futura memoria.
Rimembra, opportunamente, un redazionale di Avvenire: “Il dl Ong, approvato dalla Camera e tra poco in discussione al Senato, non fa altro che «punire sia i migranti sia coloro che cercano di salvarli. Questa penalizzazione delle azioni umanitarie trattiene le organizzazioni dei diritti umani dal fare il proprio lavoro».
Il provvedimento, che andrà in discussione al Senato, richiede che le navi delle Ong non facciano soccorsi multipli e si dirigano, immediatamente dopo il primo soccorso, verso il porto assegnato, a prescindere dalla possibilità di salvare altri naufraghi nell’area. Al tempo stesso, fa rilevare l’Onu, l’Italia ha assegnato alle navi porti di sbarco distanti, talvolta a giorni di navigazione dal primo luogo in cui è stato compiuto un soccorso. «In base al diritto internazionale – spiega Turk – un capitano è vincolato al dovere di immediata assistenza alle persone in difficoltà in mare, e gli Stati sono tenuti a proteggere il diritto alla vita, ma il nuovo provvedimento obbliga una nave di ricerca e soccorso a ignorare le richieste di soccorso da parte di coloro che sono in mare solo perché ne sono stati salvati altri». L’Alto commissario «sollecita con urgenza il governo dell’Italia a ritirare la legge proposta, e a consultare i gruppi che operano nella società civile, in particolare le Ong che si occupano di ricerca e soccorso, e assicurare una legislazione che rispetti le norme internazionali sui diritti umani, le leggi sui rifugiati e altre cornici normative, inclusa la Convenzione dell’Onu sul diritto del Mare e la Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare».
Le partenze dalla Libia, intanto, sono riprese, complice il bel tempo, e, di conseguenza, i soccorsi. La Aita Mari ha salvato 31 migranti stipati in una piccola barca di legno. Tra loro donne incinte, bambini e neonati di pochi mesi. Altri 33 migranti, che si aggiungono a quelli arrivati negli ultimi due giorni, sono stati soccorsi davanti alle coste sud-occidentali della Sardegna. La nave Life Support di Emergencyha soccorso e salvato, in due distinte operazioni, 156 persone nel Mediterraneo centrale, ma è stata minacciata da unità libiche con «manovre azzardate – spiega la Ong -e intimidatorie». Emergency «ha scoperto ieri che il mezzo in questione apparteneva alle Ssa (Stability Support Apparatus, un organismo dipendente dal ministero dell’Interno libico)». «Denunciamo – sottolinea l’Ong – le intimidazioni ricevute e le manovre azzardate nei nostri confronti da parte di un mezzo che appartiene a forze di sicurezza libiche. Confermiamo che la nostra nave si trovava a oltre 25 miglia nautiche dalla costa libica, quindi a debita distanza delle acque territoriali che terminano a 12 miglia, come riscontrabile dagli apparati di navigazione presenti a bordo».
Le autorità italiane hanno assegnato alla nave il porto di Civitavecchia. I naufraghi a bordo provengono da Bangladesh, Pakistan, Sudan, Eritrea, Egitto, Gambia, Ciad, Camerun, Senegal Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Guinea Conakri. «Tutte le persone soccorse – ha assicurato Agnese Castelgrandi, medico di bordo – stanno bene e stanno riposando. Stiamo monitorando costantemente le loro condizioni».
A loro è andata bene. Non così, invece, all’uomo il cui cadavere è stato trovato al largo di Lampedusa dalla Guardia di finanza. Il corpo era nei pressi dell’isolotto di Lampione. Potrebbe trattarsi di una delle vittime degli ultimi naufragi avvenuti nel canale di Sicilia. La salma è stata portata alla camera mortuaria del cimitero di Cala Pisana. Ieri sono arrivati 735 migranti a bordo di nove imbarcazioni. Oggi ci sono stati oltre una ventina di sbarchi.
Altri uomini e donne non arriveranno mai. Le persone soccorse da Emergency hanno segnalato di aver incrociato, prima di essere soccorsi, un’altra imbarcazione come la loro in mare “in condizioni precarie”. «Per ora non ve ne sono tracce», spiega l’equipaggio della nave, obbligata ormai a dirigersi verso Civitavecchia e a lasciare qualcuno indietro, in balia del mare”.
La denuncia di Terre des Hommes.
“Esprimiamo forte preoccupazione per l’impatto che il recente Decreto 2/1/2023 n.1 recante disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori sta già avendo sulle operazioni di salvataggio, con particolare riferimento alla condizione dei minori non accompagnati e, più in generale di persone che presentano una condizione fisica o psichica di estrema fragilità”. Così Federica Giannotta, Responsabile Advocacy e programmi Italia di Terre des Hommes, l’Ong che dal 2011 è presente nei luoghi di sbarco con il progetto Faro, per garantire assistenza, protezione e supporto psicosociale ai minori migranti e alle loro famiglie.
La disposizione secondo cui la nave è tenuta a raggiungere ‘senza ritardo’ il porto sicuro assegnato, con divieto di potersi dedicare a ulteriori salvataggi di persone in condizioni di bisogno di cui è a conoscenza, è un primo punto che fa riflettere.
A ciò si aggiunge il tema dell’assegnazione del porto sicuro, prontamente comunicato alla nave di salvataggio in città lontane che implicano anche giorni di navigazione per poter essere raggiunte.
Quattro sono i giorni di mare che separano le due navi Geo Barents di Msf (con 73 migranti a bordo di cui 16 minori) e Ocean Viking di Sos Mediterranée (con 37 migranti a bordo), dal porto sicuro di Ancona, città indicata per l’approdo della nave.
Il nuovo quadro regolamentare che disciplina l’attività di search and rescue non sembra volere tenere in conto della fragilità e dei bisogni umani delle persone salvate, costrette ad affrontare interminabili ore in condizioni di vulnerabilità non solo fisica ma anche giuridica, dal momento che le neo-procedure costringono a rimandare di giorni l’assegnazione di un l’assenza di un tutore per i minori e l’accesso alle opportune cure ed assistenza per chi è più fragile.
Alessandra Ballerini, avvocata, consulente legale di Terre des Hommes :“Siamo solidali con i colleghi che ogni giorno si dedicano al salvataggio di vite umane nel Mediterraneo e riteniamo che l’impegno comune dovrebbe essere indirizzato a garantire ai più fragili e alle persone in difficoltà un accesso a cure, protezione ed assistenza, tempestivo ed efficace, soprattutto quando si tratta di minori”.
Alla fine, una scoperta sensazionale, planetaria, ad opera di Globalist: i marziani esistono. Sono quelli che hanno votato il decreto anti migranti e quelli che l’hanno partorito. I marziani a Roma. Fuori dal mondo.
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