Un Rapporto importante. Per il contenuto e per l’autorevolezza dell’estensore.
L’asilo in Italia e in Europa.
“Il 2022 è stato un anno particolarmente complesso per l’asilo in Italia e in Europa. Dalla maggiore precarietà socio-economica che sta colpendo i rifugiati, conseguenza a lungo termine della pandemia che ha reso le vite di molti più isolate e a rischio di marginalità sociale, al conflitto in Ucraina che ha provocato circa 8 milioni di profughi e ha spinto a rifugiarsi in Italia 173.589 persone (dati Ministero dell’Interno al 31 dicembre 2022). Uno scenario che ha richiesto il costante impegno del Consiglio Italiano per i Rifugiati (cir) e che ci ha visti protagonisti di interventi di tutela e integrazione.
Nel 2022 sono state presentate 77.195 richieste di protezione internazionale in Italia, a fronte di 217.735 presentate in Germania, 137.505 in Francia e 116.140 in Spagna. In Italia, quindi, sono state presentate poco più di un terzo (il 35%) delle domande d’asilo presentate in Germania, il 56% di quelle presentate in Francia e il 66% di quelle presentate in Spagna.
Per quanto riguarda il sistema d’asilo italiano, le domande esaminate sono state 52.625: il 53% i dinieghi (27.385), il 12% i riconoscimenti dello status di rifugiato (6.161), il 13% i beneficiari di protezione sussidiaria (6.770), il 21% i beneficiari di protezione speciale (10.865). Un tasso di protezione in calo, rispetto al 2021, del 9% per quanto riguarda la protezione internazionale e che ha visto, al contempo, un incremento della protezione speciale (+5%) e dei dinieghi (+4%) (dati Eurostat al 31 dicembre 2022 e consolidati alla data del 21 febbraio 2023).
Per quanto riguarda gli arrivi via mare, 105.140 le persone giunte sulle nostre coste (dati Ministero dell’Interno) e 1.417 le persone morte e disperse nel Mediterraneo centrale (dati Oim).
“Numeri che raccontano una realtà completamente diversa da quella comunemente percepita: nel nostro Paese non è in atto una crisi ingestibile, la vera emergenza è la mancanza di un impegno europeo in tema di soccorso e salvataggio in mare e di un aiuto nella gestione, questa si davvero complessa, dei flussi misti che arrivano sulle nostre coste. E di vie d’ingresso sicuro in Italia e in Europa” dichiara Roberto Zaccaria, Presidente del Cir.
Questo scenario ha visto in prima fila il CIr: con i nostri interventi nel 2022 abbiamo raggiunto 6.533 persone bisognose di protezione. La maggior parte di loro provenienti dall’Ucraina. Grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo, LA7 e Corsera, Avsi abbiamo accompagnato centinaia di rifugiati ucraini verso la possibilità di costruire una nuova vita che, per quanto temporanea, sia la più vicina possibile a un’idea di normalità.
Abbiamo implementato 26 progetti, realizzando interventi di sostegno diretto, tutela e integrazione a favore di 1.325 richiedenti asilo e titolari di protezione, 880 minori/MSNA/neomaggiorenni, 175 vittime di violenza di genere e 251 vittime di sfruttamento lavorativo.
I nostri sportelli informativi hanno garantito assistenza legale, accompagnamento sociale e orientamento al territorio in cinque territori – Roma, Verona, Badolato, Lecce e Bergamo – a 3.502 persone.
Nei nostri centri, all’interno del sistema Sai, abbiamo dato accoglienza qualificata a 400 persone, 196 adulti, 63 minori e 141 minori stranieri non accompagnati.
Infine, abbiamo accompagnato 461 cittadini di Paesi terzi nel loro ritorno a casa, partendo da una presa in carico in Italia e costruendo insieme a loro il percorso di reintegrazione nel Paese di origine.
Se la crisi Ucraina ha messo a dura prova il sistema di accoglienza e protezione, ha al contempo mostrato quanto una risposta generosa e politicamente coordinata sia determinante. Per la prima volta in Europa si è attivata la Protezione Temporanea e i cittadini europei sono stati protagonisti di un incredibile slancio solidale, rendendo possibile l’accoglienza di milioni di profughi nel nostro continente. Un insegnamento che dovremmo replicare per tutte le crisi e per tutti i rifugiati che arrivano in Italia e in Europa, senza distinzione per il loro Paese di origine o la guerra che li ha costretti a scappare. L’anno si è concluso con un colpo di coda estremamente preoccupante. La cornice normativa nazionale che, a partire dal 2020 sembrava in miglioramento, verso la fine dell’anno ha invertito la tendenza. Il Decreto legge sulle Ong, convertito da pochi giorni in legge alla Camera, ha dato un duro colpo al sistema di protezione in Italia. “Una legge ingiusta, che mette ancor più in pericolo le vite di quanti attraversano il Mediterraneo, violando le norme internazionali e la nostra stessa Costituzione. Alcune delle parole usate in tema di accoglienza selettiva rischiano di riportarci indietro di anni, creando un clima che non favorisce in alcun modo la serena convivenza” conclude Roberto Zaccaria.
Il ministro securista
Al secolo Matteo Piantedosi.Le critiche piovute da tutte le parti al mondo – dall’Onu al Consiglio d’Europa – sul Dl Migranti non hanno scalfito minimamente le granitiche certezze del ministro degli Esteri. Incurante dei rapporti che lo smentiscono, il titolare del Viminale rivendica i risultati in tema migranti del governo Meloni, sottolineando come in 4 mesi siano stati scongiurati circa 21mila arrivi da Libia e Tunisia.
“Il governo, sin dal suo insediamento, ha messo tra le sue priorità quella del contrasto all’immigrazione irregolare. Si tratta di un programma ambizioso che comporta azioni di lungo periodo che non possono essere giudicate dopo solo 4 mesi di impegno di questo governo, che pure qualche risultato tangibile su questo fronte ha cominciato a farlo intravedere”.
In un’intervista a Il Giornale, il ministro dell’Interno ha spiegato infatti come “anche grazie alla nostra cooperazione, seppur in un quadro di arrivi numerosi, le autorità tunisine e libiche, dal primo novembre a oggi” abbiano “scongiurato l’arrivo, rispettivamente, di quasi 13mila e oltre 9mila migranti”.
“Si tratta di un risultato importante – ha aggiunto Piantedosi – perché sono numeri che verrebbero aggiunti a quelli delle persone che sono riuscite a sfuggire ai controlli arrivando sulle nostre coste”. Quanto al rischio di possibili infiltrazioni di estremisti tra i migranti, , il ministro ritiene che “non bisogna fare allarmismi”. “Le forze dell’ordine hanno dimostrato in molteplici occasioni di saper individuare le persone ‘a rischio’ al momento dell’ingresso sul territorio nazionale, assoggettandole alle conseguenze di legge”.
Esternalizzare le frontiere. Il caso-Tunisia.
Di grande interesse è l’analisi di Africa. La rivista del continente vero: “Rischiano di suscitare una valanga critiche – alcune sono già apparse sui social – le dichiarazioni del presidente tunisino Kais Saied fatte ieri durante una riunione del Consiglio superiore per la sicurezza nazionale incentrata sull’immigrazione irregolare degli africani sub-sahariani in Tunisia e sui mezzi per affrontarla.
Il presidente ha infatti dichiarato che “c’è stata la volontà, dall’inizio di questo secolo, di cambiare la composizione demografica della Tunisia”, secondo i media locali che riportano le parole di Saied. “Attraverso queste ondate successive di migrazione irregolare, si cerca di fare della Tunisia un Paese puramente africano che non appartiene al mondo arabo-musulmano”, ha detto il presidente.
Saied ha persino denunciato che alcuni hanno ricevuto ingenti somme di denaro, dopo il 2011, per insediare i sub-sahariani in Tunisia. Saied ha invocato la necessità di porre fine a questo fenomeno “che può avere diverse ripercussioni, come crimini e pratiche inaccettabili”; ha quindi ordinato a tutte le parti interessate, vale a dire diplomatici, militari e della sicurezza, di applicare la legge relativa all’immigrazione clandestina.
Ha inoltre affermato che coloro che stanno dietro a questo fenomeno fanno tratta di esseri umani, mentre pretendono di difendere diritti umani.
Saied ha tuttavia dichiarato che la Tunisia è orgogliosa della sua appartenenza africana, ricordando che è uno dei Paesi fondatori dell’Organizzazione dell’Unità Africana e che ha sostenuto molti popoli nella loro lotta per la liberazione e l’indipendenza.
Su Twitter, hanno già reagito alcuni analisti politici. Amine Snoussi, autore di libri sulla politica tunisina e giornalista, scrive: “Il presidente della Repubblica tunisina ha appena convalidato la tesi del grande ricambio. Abbiamo un dittatore razzista che arresta i suoi oppositori e incolpa gli immigrati sub-sahariani per i nostri problemi. È il peggior regime nella storia di questo Paese”.
Mohamed Dhia Hammam, ricercatore in scienze politiche alla Maxwell School, definisce le parole di Saied disgustose, e parla di una “campagna fascista contro i neri”. “L’oltraggiosa dichiarazione di ieri della Presidenza sulla riunione del Consiglio di sicurezza nazionale, durante la quale Saied ha deciso di usare tutte le forze, compresi i militari, per prendere di mira gli immigrati neri, arriva nel bel mezzo di una odiosa campagna mediatica. La logica del complotto messa in atto dal governo fa eco alle teorie del complotto diffuse sia nei media mainstream che nei social media pro-Saied”, twitta l’analista.
La carica di Kais Saied contro i migranti sub-sahariani arriva pochi giorni dopo che una ventina di organizzazioni non governative tunisine hanno denunciato l’aumento dell’incitamento all’odio e del razzismo nei loro confronti.
Lo riferisce il portale InfoMigrants, ricordando il messaggio delle Ong, ovvero che “lo Stato tunisino sta facendo orecchie da mercante di fronte all’aumento di discorsi odiosi e razzisti sui social network e in alcuni media”. Questo discorso “viene portato avanti anche da alcuni partiti politici, che svolgono azioni di propaganda sul campo, agevolate dalle autorità regionali”, hanno aggiunto.
Denunciando “le violazioni dei diritti umani” di cui sono vittime i migranti, le Ong hanno invitato le autorità tunisine “a combattere l’incitamento all’odio, la discriminazione e il razzismo nei loro confronti e ad intervenire in caso di emergenza per garantire la dignità e i diritti dei migranti”.
La Tunisia, il cui tratto di costa dista meno di 150 chilometri dall’isola italiana di Lampedusa, registra molto regolarmente tentativi di fuga dei migranti, per lo più africani subsahariani, verso l’Italia”.
Quando ci chiederanno il conto
Giuseppe Cucchi è generale della riserva dell’Esercito, già direttore del Centro militare di studi strategici, consigliere militare del presidente del Consiglio, rappresentante militare permanente dell’Italia presso Nato, Ue e Ue, consigliere scientifico di Limes.
E su Limes ha pubblicato uno scritto di straordinario interesse, perché riguarda un’area a noi vicina, e non solo geograficamente: il Mediterraneo.
Scrive Cucchi: “Anche se fino a questo momento nulla di irreversibilmente traumatico è ancora avvenuto sulle sponde arabe di un Mediterraneo allargato , questo è ormai il grido che si sta incessantemente levando da tali sponde verso una Europa – e al di là di essa verso un intero Occidente – che da troppo tempo stanno dimenticando i compagni di strada del bacino condiviso .
Nel 1989 , ben 33 anni fa per l’esattezza , con la caduta del Muro di Berlino noi ci trovammo di fronte ad un secondo “arco di crisi” , quello ad Est , che si apriva ed entrava in competizione con l’altro “arco di crisi ” , quello a Sud , cui da parecchio tempo eravamo confrontati , sottraendogli attenzione , interesse politico, aiuti militari, risorse economiche… Sotto la pressione contemporaneamente esercitata dagli Stati Uniti da un lato e dall’altro dai paesi europei cui il duplice crollo del Patto di Varsavia prima e dell’Unione Sovietica poi aveva restituito la libertà , l’Europa finì così rapidamente col preoccuparsi soltanto di donare sicurezza e benessere alla sua area centrosettentrionale di recente recuperata , dimenticando rapidamente le sue connessioni con un Sud ed un Est Mediterraneo che si facevano sempre più inquieti .
Si trattò , tra l’altro , di un processo che riscosse una approvazione pressoché generalizzata , al punto tale che nemmeno i grandi paesi della Europa Meridionale , come l’Italia e la Spagna , nonché per molti versi anche la Francia – che benché non lo ammetta è decisamente mediterranea in tutta la sua parte a sud della Loira – non ritennero opportuno protestare con una decisione tale da cambiare sostanzialmente un orientamento che avrebbe finito col tempo col rivelarsi estremamente pericoloso .
Agli arabi, che iniziavano già più di trenta anni fa a chiederci “E noi ?” fu quindi risposto di attendere con pazienza il momento in cui l’Occidente , dopo aver assicurato la propria frontiera ad est , avrebbe avuto il modo , e le risorse , per occuparsi anche di quanto succedeva nel bacino mediterraneo .
La risposta, almeno momentaneamente accettata, inizio però con gli anni a perdere progressivamente di credibilità,, un processo che poi si accelerò nel momento in cui gli europei non dimostrarono alcuna inclinazione a sostituirsi agli Stati Uniti che nel loro progressivo concentrarsi sull’area del Pacifico avevano sperato di poter delegare agli alleati Nato la gestione dei problemi mediterranei . In quegli anni , assurdamente , l’unica vera iniziativa Europea nel bacino fu anzi l’azione franco britannica contro Gheddafi , culminata con un conflitto che non ebbe mai una precisa conclusione , ma in compenso eliminò uno dei pilastri di stabilità dell’intera area . L’abbandono totale , protrattosi per un tempo troppo lungo , portò così , poco più di dieci anni fa , alla stagione delle “primavere arabe ” , disperate rivolte del pane – ma non soltanto di quello ! – che non a caso colpirono con particolare durezza i paesi che per forma di Governo e contatti internazionali risultavano più vicini all’Occidente. . Si trattava di un primo messaggio, un “E noi?” chiarissimo, di cui avremmo dovuto tenere il debito conto, ma che invece fingemmo di non comprendere. Il risultato fu lo scatenarsi di una competizione , una corsa ad occupare il vuoto di potere esistente nell’area , che ebbe come protagonisti maggiori la Cina che acquistò nel bacino mediterraneo tutto ciò che poteva acquistare , Stati compresi , la Turchia , che diede via libera alle sue frustrazioni neo ottomane , e infine la Russia che , grazie alla sanguinaria e criminale disinvoltura dei mercenari della Wagner , si ritagliò un ruolo di potere prima in Siria ed in Libia e successivamente anche in parte del Sahel . Con tutto questo rimaneva comunque viva in tutti gli Stati arabi mediterranei la speranza che una volta terminato il suo compito ad Est l’Occidente si ricordasse finalmente dei suoi compagni di strada meridionali. In un certo senso tale speranza era così viva e forte da consentire loro di procedere malgrado il difficilissimo periodo di crisi politica ed economica che pressoché tutti stavano attraversando. Nel Maghreb infatti la tensione fra Marocco ed Algeria sembra crescere oggi di giorno in giorno, mentre ciascuno dei due Stati cerca di alimentare le istanze separatiste delle altrui minoranze. La Tunisia sta inoltre per affrontare un referendum istituzionale che potrebbe rivelarsi difficile, mentre in Libia si confrontano di nuovo due distinti Governi, una situazione che è un ulteriore passo avanti verso la definitiva spartizione del Paese.
Non vanno meglio le cose in Egitto, ove le difficoltà finanziarie hanno costretto al-Sisi a ricorrere di nuovo ad un aiuto che gli Stati del Golfo certo concederanno …ma a quale prezzo?
O in Libano che anni di crisi economica hanno inchiodato nel terribile ruolo di “Stato fallito”. In Giordania poi la famiglia reale, colonna dell’unità nazionale , è spaccata in due da una faida dinastica senza esclusione di colpi .
La Siria attende nel frattempo con timore una ulteriore recrudescenza del mai concluso conflitto fra Turchia e curdi …e si potrebbe continuare . Su tutto questo cade adesso la tegola del blocco dell’esportazione del grano ucraino, con tutti gli effetti che l’episodio potrà avere sui maggiori consumatori, in particolare Tunisia ed Egitto. Al di là e prima di essa vi è però comunque da considerare come la attuale situazione bellica chiarisca a tutti i paesi delle altre sponde mediterranee, senza alcuna possibilità di dubbio , come per anni ed anni il rischio sia che tutte le attenzioni e le risorse dell’Occidente rimangano concentrate sull’Est europeo . Vi sembrerebbe quindi strano se a questo punto i nostri amici d’oltremare cominciassero e gridare “E noi? E NOI?” con voce progressivamente sempre più forte?”.
Così il generale Cucchi.
Quel “Noi” bussa alle nostre porte. E presto o tardi ci chiederà conto delle politiche praticate, l’esternalizzazione delle frontiere, i respingimenti, i lager in funzione h24 con i soldi erogati dall’Europa (e dall’Italia) perché altri facciano il lavoro sporco al posto nostro. Politiche he hanno contribuito a fare del Mediterraneo il “mare della morte”, e il Nord Africa e il Medio Oriente polveriere pronte a esplodere. I segnali ci sono tutti. Ma non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Non è vero, ministro Piantedosi, presidente Meloni?