I morti di Cutro: giustizia e verità per una strage di Stato
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I morti di Cutro: giustizia e verità per una strage di Stato

La gente chiede giustizia e verità per i morti di Cutro. Il che vuol dire scontrarsi col muro di gomma innalzato dal governo Meloni

I morti di Cutro: giustizia e verità per una strage di Stato
Mattarella a Crotone
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Marzo 2023 - 16.48


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“Presidente, vogliamo giustizia e verità”. Lo chiedono al Presidente Mattarella i sopravvissuti alla strage di Cutro e i famigliari delle vittime.

Giustizia e verità

Giustizia e verità. Il che vuol dire scontrarsi col muro di gomma innalzato dal governo Meloni. Giustizia e verità che si scontra con l’avvilente rimpallo di responsabilità in atto. 

Una intervista-verità

Da Linkiesta: “L’attività della mia Guardia costiera è stata fortunata. Salvavamo centinaia di migliaia di vite umane e nonostante il grandissimo lavoro e lo sforzo immane, per tutti noi era un vanto, un orgoglio portare a terra ogni persona. E soprattutto ti arrivava il riconoscimento, la stima di un Paese intero, persino l’invidia. Ed è stato per tutta Italia un grande arricchimento poter dire: se hai salvato una vita, hai salvato il mondo».

Mentre la Guardia Costiera è nell’occhio del ciclone per il mancato salvataggio del barcone di Cutro, l’ammiraglio Vittorio Alessandro, ex portavoce del Comando generale delle Capitanerie di porto, oggi in pensione, ricorda in un’intervista a Repubblica cosa è stata, fino a qualche anno fa, l’attività della Guardia costiera in Italia e la sua percezione nell’opinione pubblica. Poi al governo sono arrivati i gialloverdi del governo Conte Uno, con Matteo Salvini e Luigi Di Maio. E tutto è cambiato. «È cambiato che a un certo punto le nostre motovedette sono diventate i “taxi del mare”, i nostri uomini da eroi sono diventati la cinghia di trasmissione, le nostre navi, come la Diciotti e la Gregoretti, che avevano fatto niente più che il loro dovere salvando i migranti in pericolo, sono state lasciate fuori dai porti italiani», racconta l’ammiraglio

. Con il governo Conte Uno, prosegue, «è cambiato il clima politico, ma sono cambiate anche le regole d’ingaggio ed è cambiata l’immagine stessa del Corpo», spiega. «Noi abbiamo potuto raccontare la nostra attività, noi portavamo i giornalisti sulle motovedette, per mostrare a loro e a tutto il mondo cosa significava salvare vite in mare. Non è cosa facile avere a che fare con il mare, ogni soccorso è una storia a sé, impari e immagazzini un capitale culturale che abbiamo potuto trasferire ai nostri giovani. Poi, improvvisamente, l’attività di salvataggio dei migranti è persino scomparsa dalle foto dei calendari del Corpo». Prosegue: «I limiti dell’azione della Guardia costiera sono sempre stati quelli della zona Sar, ma centinaia di volte ci siamo spinti fuori e nessuno si sognava di bacchettarci. Soprattutto se andavi in soccorso di un’imbarcazione che navigava in direzione delle acque italiane: andavamo a prevenire il rischio ad ampio raggio. E diciamo che non dovevamo rendere conto a nessuno».

Poi, con il governo Conte, l’operatività è stata di fatto ridotta, finendo sotto il controllo del ministero dell’Interno. «Diciamo che qualche decreto interministeriale ha in qualche modo imbrigliato l’attività», dice Alessandro. «Tutto si muove su un piano non normativo e la Guardia costiera, che prima si spingeva molto al di là delle acque territoriali, è stata in qualche modo ritirata. Il Viminale ha assunto un ruolo strategico nell’assegnazione del porto di sbarco. E se è vero che il soccorso in sé non rientra nelle prerogative del ministero dell’Interno, è anche vero che – se l’asse si sposta indietro – c’è il rischio che non si veda l’esigenza del soccorso e resti in primo piano un’esigenza di polizia». È questo, secondo l’ammiraglio, il problema attorno a cui è maturata la tragedia di Cutro. «Ce lo diranno le indagini, ma è del tutto evidente che, se l’Mrcc avesse percepito la priorità di dichiarare un evento di ricerca e soccorso anche a 40 miglia, avrebbe potuto mandare le nostre motovedette. E invece si è fatta un’operazione di polizia. Ma in mare non si fa polizia: in mare si fa soccorso», conclude”.

Non è una tragedia. E’ una strage

Scrive Pietro Barabino su Il Fatto Quotidiano.it: “Quello che è avvenuto a Crotone è a tutti gli effetti una strage, con delle responsabilità che ci riguardano tutti a diversi livelli”.

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Sì esprime senza giri di parole Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea Saving Humans: “Queste persone vengono costrette a lasciare i loro paesi quasi sempre a causa delle disuguaglianze e dai conflitti causati dal nostro sistema economico e sono costrette a intraprendere viaggi pericolosi perché non esistono canali legali per arrivare in Europa. Per questo tutti i naufragi nel mediterraneo sono stragi e non sono tragedie, in particolare questa avvenuta sulle nostre coste, rispetto alla quale spero venga fatta chiarezza sull’eventuali responsabilità sul mancato soccorso in mare”. Rispetto alle parole del ministro Piantedosi, che ha ritenuto opportuno dichiarare che lui neanche in caso di disperazione avrebbe preso il mare, Mattia Ferrari aggiunge: “Abbiamo assistito a un’incredibile ma purtroppo frequente colpevolizzazione delle vittime. Nessuno può permettersi di usare parole che offendano le scelte obbligate e la sofferenza di queste parole”. Il sacerdote, nell’equipaggio dell’unica ong battente bandiera italiana ha fatto diverse operazioni di monitoraggio e soccorso in mare: “Quando i politici danno la colpa a ’scafisti’ per queste morti, fingono di non sapere che c’è solo un modo per sgominare trafficanti e la potentissima mafia libica che attualmente finanziamo, sarebbe sufficiente riaprire canali legali di accesso”. A Genova per il convegno Rotte, naufragi e salvataggi nel Mediterraneo organizzato dall’Associazione San Marcellino indipendentemente dai recenti fatti di cronaca, Mattia Ferrari ha poi parlato a lungo della situazione in Libia e dei rapporti tra Italia, Ue e la mafia libica che gestisce le motovedette e gran parte dei campi di detenzione: “C’è una ‘Fortezza Europa‘ delle frontiere, che sembra rinunciare ai suoi stessi valori – ha detto – ma c’è un’altra Europa solidale fatta di persone che in mezzo al mare come nelle città difendono la fraternità, la giustizia e dimostrano che un modo di pensare diverso da quello imposto dal neoliberismo è possibile”.

Quelle parole vergognose e una macabra ironia

“In attesa dell’atteso ed osannato turismo crocieristico, l’Italia per alcuni giorni scopre altri esotici viaggi alla volta di Crotone e dintorni”. Inizia così, con queste incredibili parole, l’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari di Crotone Michele Ciociola che ha convalidato i fermi di due dei tre presunti scafisti del naufragio di Crotone, Sami Fuat, 50enne turco e Khalid Arslan, 25enne pakistano.

“Agli extracomunitari ricordo un vecchio detto italiano: partire è un po’ morire. State a casa vostra”. Ha suscitato l’indignazione dei social – e non solo – il tweet del direttore editoriale di Libero, nonché neo eletto all’Assemblea regionale della Lombardia nella lista di Fratelli d’Italia, Vittorio Feltri.

“L’appello del ministro Piantedosi sembra un appello astratto ma immaginate che forza d’urto potrebbe avere, visto che nelle nazioni da cui provengono gli immigrati ci sono le parabole e i telefoni e quindi potremmo raggiungere tutte le popolazioni in difficoltà e fargli presente che quei viaggi non sono come vengono dipinti dai trafficanti di uomini che fanno pagare anche 7 mila euro di viaggi molto rischiosi”. Lo afferma il vicepresidente della Camera Fabrio Rampelli, a margine della cerimonia di insediamento in Regione Lazio del neo presidente Francesco Rocca. 

E la galleria dell’orrore parolaio potrebbe proseguire a lungo.

Le incongruenze nella ricostruzione delle operazioni di salvataggio

Di grande accuratezza è il report di Valigia Blu: “Ci sono alcuni elementi che non tornano. Ai cronisti sono arrivati immediatamente due comunicati stampa istituzionali, rispettivamente dalla guardia costiera italiana e dal reparto operativo aeronavale (ROAN) della guardia di ginanza. Come ricostruito da Sergio Scandura su Radio Radicale:

1) Dal comunicato della Guardia costiera si evince che questa costiera è intervenuta soltanto sulla scena della tragedia, cioè al momento del rinvenimento dei cadaveri e successivamente con le operazioni di ricerca degli eventuali dispersi. Il comunicato della Guardia costiera ha dato conto appena delle vittime accertate senza dare ulteriori dettagli.

2) Il comunicato del ROAN è molto più articolato e riprende la timeline operativa che però lascia molti interrogativi sulla tipologia dell’operazione compiuta. Dal comunicato sappiamo che sabato 25 febbraio alle 22,30 un veicolo Frontex ha individuato l’imbarcazione a 40 miglia a sud-est dell’isola di Capo Rizzuto. 

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Va specificato che alle 5 del mattino, sempre di sabato 25 febbraio, circa 16 ore prima dell’avvistamento di Frontex, il Centro di Coordinamento per il. Salvataggio in Mare (MRCC) di Roma aveva già diramato un allarme, ma senza dare le coordinate dell’avvistamento.

Dopo la segnalazione di Frontex, la sera del 25 febbraio, partono due vedette della Guardia di finanza, uno scafo veloce V.5006 da Crotone, e il pattugliatore Barbarisi da Taranto. Entrambi gli assetti della GDF hanno però desistito dall’operazione di ricerca a causa delle condizioni meteorologiche fortemente ostili – si legge nel comunicato. 

Il comunicato, osserva Scandura, dà alcuni dettagli importanti. Al suo interno si legge che Frontex “ha avvistato una imbarcazione che presumibilmente poteva essere coinvolta nel traffico di migranti”. 

Tutto questo – il mancato intervento della Guardia costiera, il riferimento nel comunicato della Guardia di finanza che potesse trattarsi di una imbarcazione coinvolta nel traffico di migranti – fa pensare che i naufraghi fossero stati considerati dei migranti irregolari e che quindi che sia stata decisa un’operazione di polizia, invece che una vera e propria operazione di salvataggio, commenta Scandura a Radio Radicale. E questo approccio, sostiene il giornalista, farebbe capo a una linea di comando che viene da Roma, dal ministero degli Interni: “Lo abbiamo già visto con i decreti sicurezza di Salvini. Lo stiamo già vedendo nel processo Open Arms, dove l’ammiraglio Liardo ha chiaramente detto che questi casi non vengono trattati come casi SAR (ricerca e soccorso) ordinari e che in molti casi si valuta sulla galleggiabilità delle imbarcazioni”. 

È un approccio che va contro gli obblighi internazionali, aggiunge Scandura. “Le imbarcazioni che partono sovraccariche sono già da considerare in difficoltà non appena lasciano la costa, siano esse turca, libica, tunisina o algerina”. A oltre 48 ore dal naufragio sono arrivati altri due comunicati di Guardia costiera e Frontex che, però, non diradano i dubbi sulla catena dei soccorsi. Secondo la versione della Guardia costiera, Frontex ha inviato un alertla sera del 25 febbraio che riportava la presenza di una barca in navigazione nel mar Jonio che “risultava navigare regolarmente, a 6 nodi e in buone condizioni di galleggiabilità, con solo una persona visibile sulla coperta della nave”. La segnalazione di Frontex è stata inviata alla Guardia di finanza (che fa capo al ministero degli Interni) per un’operazione di  ‘law enforcement’ – e quindi di polizia – e solo per conoscenza “anche alla centrale operativa della Guardia costiera di Roma” (che fa capo al ministero dei Trasporti e che si occupa delle operazioni di soccorso). Per questo motivo la Guardia costiera non sarebbe stata attivata immediatamente.

Dopo la segnalazione di Frontex, sono partiti come detto i due scafi della Guardia di finanza che poi sono tornati indietro per le condizioni del mare avverse. Solo alle 4,30 del mattino, prosegue la Guardia costiera, “sono giunte alcune segnalazioni telefoniche da terra relative a un’imbarcazione in pericolo a pochi metri dalla costa”. I carabinieri, precedentemente allertati dai finanzieri, “giunti in zona hanno riportato alla Guardia costiera l’avvenuto naufragio”. Questa – secondo quanto sostenuto dalla Guardia costiera – sarebbe stata “la prima informazione di emergenza” sull’imbarcazione avvistata nella notte di sabato da Frontex. Nessuna segnalazione telefonica, inoltre, sarebbe “mai pervenuta ad alcuna articolazione della Guardia costiera dai migranti, presenti a bordo della citata imbarcazione, o da altri soggetti come avviene in simili situazioni”.

Questa la versione della Guardia costiera. È arrivata poi la versione di Frontex che in alcune parti discorda da quella del corpo militare italiano. L’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera afferma di aver “avvistato un’imbarcazione con 200 persone pesantemente sovraffollata” che “si dirigeva verso le coste italiane e non c’erano segni di pericolo” – e non di una barca che “viaggiava a 6 nodi e in buone condizioni di galleggiabilità, con solo una persona visibile sulla coperta della nave”, come dichiarato dalla Guardia Costiera. 

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Frontex poi dice di aver “immediatamente informato tutte le autorità italiane” – e non di aver mandato la segnalazione alla Guardia di finanza e solo per conoscenza la Guardia costiera, come sostenuto nel comunicato del corpo militare italiano.

Frontex, infine, conferma che “l’operazione di salvataggio è stata dichiarata nelle prime ore di domenica, dopo che il naufragio è stato localizzato al largo di Crotone”. 

L’impressione – sottolineano diversi giornalisti che si occupano di soccorso in mare e accoglienza dei migranti – è che ci sia un rimpallo di responsabilità fra Guardia costiera, Guardia di finanza e Frontex sui ritardi nelle operazioni di soccorso. La Guardia di finanza sottolinea che Frontex ha parlato subito di “imbarcazione coinvolta in traffico migranti” e pertanto l’intervento si sarebbe configurato come una operazione di polizia e non di soccorso in mare, scaricando così le responsabilità su Frontex e ministero degli Interni. La Guardia costiera ha scaricato tutto su Frontex e Viminale sottolineando che si trattava di un’operazione di ‘law enforcement’ (e non di soccorso, dunque), che era stata interpellata “solo per conoscenza” e che non erano giunte richieste di aiuto dai naufraghi; Frontex ha chiamato in causa tutte le autorità italiane sostenendo di aver inviato “immediatamente una segnalazione” a tutti. 

Restano alcuni interrogativi ancora senza risposta. Se le condizioni erano così severe da impedire la navigazione anche a una nave di 35 metri come il pattugliatore partito da Taranto, perché si è pensato che una imbarcazione “pesantemente sovraffollata”, come descritta da Frontex, potesse continuare a navigare tranquillamente verso le coste calabresi? Perché la Guardia di Finanza, attiva in quel momento, non ha fatto monitorare l’imbarcazione da un proprio elicottero? Perché la segnalazione del MRCC di Roma, avvenuta già 16 ore prima dell’alert di Frontex, non ha avuto seguito e nessuno è intervenuto? Viste le condizioni di mare e dell’imbarcazione, perché non è scattato il “soccorso di ufficio” che fa capo alle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera? Secondo Scandura, ci troviamo di fronte a “una violazione delle leggi internazionali e dello stesso regolamento Frontex 656/2014 che impone regole precise sui soccorsi”.

Man mano che passano le ore dalla strage di Cutro, il quadro delle responsabilità politiche inizia a delinearsi. Il comandante della Guardia costiera di Crotone, Vittorio Aloi, ha detto  che nel mare di domenica mattina si poteva intervenire, nonostante le condizioni pessime: «Quel giorno c’era mare forza quattro, non sei o sette. Le nostre motovedette avrebbero potuto navigare anche con mare forza otto». Ma la Guardia costiera non può intervenire finché non viene proclamato l’evento SAR (Search and rescue). Come detto, dai comunicati, si evince che l’operazione è stata sin da subito di polizia e non di soccorso. L’indicazione da parte dello Stato di avviare le procedure di salvataggio e soccorso, tramite il proprio Rescue Coordination Center (Rcc), il coordinamento delle operazioni di soccorso con l’impiego di unità SAR, non è mai partita. Da Roma, nessuno si è preso la responsabilità di coordinare i soccorsi.

Premesso che, negli scorsi anni, la Guardia costiera è intervenuta per salvare tantissimi migranti e fatte salve le catene di comando e le procedure delle operazioni di soccorso, alla luce anche delle parole del comandante di Crotone, Aloi, la Guardia costiera è indifendibile nel sostenere di non aver ricevuto l’ordine di intervento. Da un punto di vista prima di tutto morale, è responsabile di aver fatto venir meno un principio che non dovrebbe mai essere negoziabile o messo in discussione: il dovere di salvare vite”.

Un dovere che è dentro quella richiesta di giustizia e verità che va sostenuta in ogni sede. E’ una battaglia di civiltà che alla quale non ci si può sottrarre se si vuole “restare umani”.

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